Il petrolio beve l’acqua del Texas

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Il comprensorio di Laredo, sulla sponda nord del Rio Grande, dipende da due reservoir e da falde acquifere sotterranee che sono state riempite l’ultima volta dagli uragani tropicali dell’estate scorsa. Lo stesso vale per Sasantonio. Ora le autorità  hanno cominciato a razionare l’acqua; agricoltori e rancheros stanno già  contando i danni, si parla di perdite per 3 miliardi di dollari. Se l’estate non porterà  nuove piogge, le previsioni sono catastrofiche. Ma agricoltura e allevamento potrebbero presto trovarsi in concorrenza con l’industria petrolifera. leggiamo infatti in un lungo servizio dell’agenzie Bloomberg che la penuria d’acqua «può deprimere il boom di perforazioni ed estrazione di petrolio e gas naturale, via via che le autorità  razionano l’acqua cruciale all’industria energetica» (13 giugno: Worst Drought in more than a century threatens Texas oil boom ). Il boom in questione è quello permesso da una particolare tecnica di estrazione chiamata «hydraulic fracturing», spesso abbreviato in fracking : il metodo consiste in «sparare» nel sottosuolo getti ad alta pressione di acqua mista a sabbia e sostanze chimiche in modo fa spaccare le rocce e liberare depositi di petrolio o gas. E’ una tecnologia più costosa: però ha permesso di sfruttare depositi in formazioni geologiche che in passato erano state scartate, appunto perché troppo costoso e complicato estrarne il petrolio (o il gas): ma ora diventano redditizi, con la domanda che aumenta (e i prezzi del greggio anche). Dunque il Texas sta registrando un suo boom di nuove estrazione on-shore , a terra. Il ricorso al fracking è circondato da polemiche in tutta Europa e nel nord America, che si sono puntate finora sul pericolo, piuttosto reale, che produca una massiccia contaminazione delle falde acquifere. La siccità  in Texas aggiunge un altro elemento al dibattito: la competizione tra l’industria degli idrocarburi e l’agricoltura, usare la scarsa acqua disponibile per irrigare i campi o per spararla nei pozzi petroliferi. L’agenzia bllombergm nel servizio citato, fa l’esempio della zona chiamata Eagle’s Ford Shale, un comprensorio di 51mila chilometri quadrati in Texas meridionale, dove la crisi è particolarmente acuta perché – per la particolare conformazione geologica – l’estrazione petrolifera è più water-intensive che in altri distretti vicini, richiede più acqua a parità  di risultato. Però il petrolio c’è e gli esperti prevedono un’impennata della domanda di acqua a scopo fracking nei prossimi vent’anni: dieci volte di più entro il 2020, poi ancora un raddoppio per il 2030. Da quando il primo pozzo è stato scavato con questa nuova tecnica nel 2008 da Petrohawk Energy Corp, le maggiori aziende del settore si sono buttate e stanno comprando concessioni – Exxon ha speso quasi 35 miliardi di dollari l’anno scorso per comprare expertise nel fracking, per fare un esempio. Ma aprire mediante fracking un singolo pozzo di Eagle’s Ford richiede in media 13 milioni di galloni d’acqua: il consumo di 40 adulti per cucinare, lavare e bere per un intero anno. E in tempi di siccità  questo è diventato un problema. Quando le autorità  hanno cominciato a imporre ai cittadini limiti al prelievo d’acqua da fiumi, laghi e falde, le compagnie petrolifere hanno cominciato ad andare più lontano e comprare acqua in altri distretti – pur sempre nel bacino del Rio Grande però. E anche se la pagano bene, per i prezzi correnti, di fronte ai raccolti che vanno a secco, gli agricoltori cominciano a rifiutare di vendere la loro acqua.


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1 comment

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  1. Angela
    Angela 15 Marzo, 2017, 07:08

    II proprietario del terreno dove sorge petrolio in Italia e Texas sono anche pieni proprietari anche del petrolio ?

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