A lezione per salvare la tradizione

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Per oltre trent’anni David Harvey ha tenuto in varie università  statunitensi un seminario introduttivo all’opera di Karl Marx, a partire dal primo libro del Capitale. Ogni anno il gruppo di studenti e ricercatori cambiava e la sua composizione «culturale» rifletteva l’università  dove si svolgeva il corso. Harvey ricorda quando si trovò di fronte studenti che chiedevano di rileggere continuamente solo alcuni brani marxiani. Spazientito il geografo statunitense domandò quale corso seguivano e quale il docente che li seguiva. Per la prima volta sentì nominare il nome di Jacques Derrida, il filosofo francese che veniva considerato indifferente, se non ostile alla critica dell’economia politica. Ironia della sorte, fu proprio quel Jacques Derrida che ha mandato alle stampe un libro – Spettri di Marx, Raffaello Cortina – ritenuto espressione del primo momento di crisi dell’ideologia neoliberale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, nonché saggio che pose fine all’ostracismo verso l’opera marxiana.
Con una buona dose di ironia, David Harvey dichiara la sua sorpresa che un gruppo «decostruzionista» come quello mostrasse una attenzione così spasmodica verso il Capitale, anche se riconosce il fatto che quel corso in ambiente derridiano sia stato utile a fargli comprendere meglio la struttura semantica dell’opera marxiana. Un esempio scelto solo per sottolineare che il corso, sebbene incentrato sullo stesso tema, non è mai stato lo stesso, perché la diversa composizione della platea lo costringeva a soffermarsi su un aspetto piuttosto che un altro. Insomma, trent’anni di ripetizioni, costellati tuttavia da impreviste, creative e salutari differenze.
Un lavoro condotto senza grandi clamori da un «geografo marxista», come a volte si è definito, che ha concentrato la sua attenzione sul come le trasformazioni dello spazio urbano sono sempre stati funzionali a definire le geografie del potere del capitale sulla società  e, elemento centrale nella sua analisi, a garantire la continuità  nel processo di accumulazione, dato che la valorizzazione economica dello sviluppo urbano è intervenuta ogni qual volta si manifestava una crisi negli altri settori. Tutto ciò fino a quando Harvey ha deciso di mettere sul Web una selezione dei materiali audio e video di quei seminari (//http:davidharvey.org). In pochi mesi un milione di persone ha scaricato i file audio e video resi disponibili. Nello stesso periodo un mediattivista ha prodotto e diffuso un video, a metà  fumetto a metà  diagramma di flusso, in cui erano condensati i temi del seminario marxiano che ha avuto un’analoga audience. A quel punto, la casa editrice Verso ha chiesto ad Harvey di mettere su carta le dodici lezioni del seminario. Anche in questo caso, le vendite hanno fatto parlare di successo. Ora, finalmente, la casa editrice fiorentina La Casa Usher ha tradotto il volume (Introduzione al Capitale, pp. 326, euro 18,50). Nel frattempo il geografo statunitense ha annunciato che nel corso di quest’anno presenterà  il piano di lavoro di un nuovo seminario, questa volta dedicato al secondo libro del Capitale. 
Un orizzonte in movimento
Chi cercasse tracce, in questo libro, di un’interpretazione eterodossa dell’opera marxiana rimarrà  deluso. Harvey fa sua la «genealogia» del pensiero di Marx consolidata nel pensiero marxista novecentesco. Adam Smith e David Ricardo sono gli economisti da cui parte, mentre la dialettica hegeliana è il metodo di lavoro che Marx non rinnegherà  mai. Il socialismo utopico francese è invece il pensiero politico da cui Marx parte per superarlo e giungere così alla definizione di un socialismo scientifico. Anche per quanto riguarda l’impianto marxiano – teoria del valore-lavoro, profitto, plusvalore relativo e assoluto, caduta tendenziale del saggio del profitto – non c’è niente di nuovo all’orizzonte. Ma il materiale è pur sempre un materiale per un seminario, dunque aperto all’interlocuzione con la platea, alle obiezioni, alle richieste di chiarimento. Ed è sulle esemplificazioni, cioè nella dimensione empirica che il testo di Harvey presenta elementi interessanti che costringono ad innovare la tradizione marxista. 
Quell’enigma da svelare
Su come lo spazio condizioni il regime di accumulazione il testo su Il capitalismo contro il diritto alla città  è esemplare per chiarezza, come testimonia il testo di Sandro Mezzadra presente in queste pagine. Sul rapporto tra finanza e economia reale occorre invece guardare i libri di Harvey – Breve storia del neoliberalismo (Il Saggiatore) e L’enigma del capitale (Feltrinelli) – per vedere in azione un movimento teorico che punta a verificare la cogenza di una griglia analitica utile al salvataggio dell’intero corpus dell’opera marxiana. In altri termini, il seminario di David Harvey su Marx è stato un laboratorio dove ha preso forma un progetto di innovazione della riflessione marxiana. Obiettivo già  presente in un saggio su La crisi della modernità  (il Saggiatore) all’interno del quale c’è un vero e proprio corpo a corpo con il postmoderno al termine del quale vengono assunti alcuni elementi – la crisi dei concetti di progresso e di progetto, la centralità  dello spazio rispetto al tempo, la finanza come un capitale fittizio niente affatto parassitario, la rappresentazione come fine della dialettica – che come un filo rosso hanno attraversato tutte le sue opere. 
Il testo che tuttavia costituisce un ulteriore tentativo di verifica e innovazione delle categorie marxiane è sicuramente L’enigma del capitale . Scritto quando la crisi economica sta manifestando tutti i suoi effetti, è un testo che cerca di spiegare il perché la finanza ha acquisito una centralità  nel regime di accumulazione capitalista. Per Harvey, infatti, l’accumulazione avviene per espropriazione e per sfruttamento. La crisi tuttavia è divenuta un fattore permanente. Da qui la necessità  di una rinnovata espropriazione applicata a ambiti diversi – le terre, come testimonia il carattere predatorio delle recenti strategie delle multinazionali agro-alimentari in Africa, ma anche della conoscenza, del sapere, del welfare state e dello spazio urbano -. Allo stesso tempo, anche l’accumulazione per sfruttamento continua il suo corso. Da qui la crescita della «precarietà ». Il limite della riflessione di Harvey è quello di presentare l’espropriazione e lo sfruttamento come momenti separati e talvolta antitetici del capitale. Più realisticamente sono invece fattori, compresenti temporalmente e spazialmente. costituitivi di uno stesso movimento, che trova proprio nella finanza un fattore di stabilizzazione e di «coordinamento». 
La coalizione degli spossessati
Da qui la necessità  di una politica che non può limitarsi, come invece propone Harvey, all’invocazione di una generica coalizione tra gli «spossessati» e il movimento operaio. È l’intera costellazione del lavoro vivo che entra in campo, rendendo spesso paralizzanti antiche dicotomie – ad esempio, lavoro produttivo e improduttivo -e urgente la definizione di una teoria dell’organizzazione che abbia come sfondo la città  come luogo della trasformazione.


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