Commercianti e artigiani in piazza protesta contro tasse e credit crunch

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ROMA — Chiuderanno bottega e scenderanno in piazza per protestare contro il governo: un popolo di artigiani e commercianti, classe media per eccellenza, che per farsi sentire farà suoi gli strumenti da sempre usati dalla classe operaia. Piazza del Popolo, a Roma, martedì prossimo 18 febbraio si riempirà di lavoratori autonomi arrabbiati per le troppe tasse da pagare, per la chiusura al credito imposta dalle banche e per l’eccesso di burocrazia. Motivi soliti per una forma di protesta insolita, almeno per questa categoria.
Non c’è memoria infatti di una manifestazione nazionale di piazza messa in atto da commercianti e artigiani: l’appuntamento del 18 rimanda semmai alla silenziosa e ormai storica marcia dei 40 mila di Torino quando – il 14 ottobre dell’80 – i quadri Fiat scesero in strada per protestare contro i 35 giorni di picchettaggio e chiusura della fabbrica. Un appuntamento che allora segnò la storia del sindacato e la politica industriale.
La crisi economica, la velata possibilità di una solo fragilissima ripresa nel 2014, la chiusura di tante microimprese (oltre mille al giorno nel 2013) e una caduta del 10 per cento nei redditi solo nell’ultimo biennio hanno spinto le piccole e piccolissime imprese a cambiare tono. L’obiettivo di chi sarà in piazza è quello di farsi sentire: «Chiediamo una svolta, la politica ci deve ascoltare», ripete Marco Venturi, presidente di turno di Rete imprese Italia, l’insieme della cinque organizzazioni di categoria che hanno voluto la protesta (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti). Lo sforzo messo in campo è imponente: a Roma sono attese 70 mila persone, 400 pullman sono già stati organizzati, 7 mila posti treno e 2 mila posti aereo prenotati.
Ma il fisco è un chiodo fisso per la categoria, disposta a perdere una mattina di lavoro pur di ottenere un taglio delle tasse (a partire dall’Imu sugli immobili strumentali) e un’apertura di credito bancario. L’incidenza del fisco sui profitti, recita Venturi, «ha raggiunto il 66 per cento, 20 punti in più rispetto alla media europea ». La categoria suggerisce di destinare i fondi ottenuti dalla lotta all’evasione (illecito di cui spesso è stata accusata) proprio a questo obiettivo. Quanto al credit crunch i dati parlano chiaro: la quota di finanziamento accolto non arriva, per le piccole imprese, al 54 per cento delle richieste, tanto che nell’ultimo anno le aziende che chiedono soldi alla banca sono scese dal 22 al 9 per cento. Deve intervenire la Bce, dicono le piccole imprese, e vanno incentivati canali alternativi a quello bancario. Stesso cambio di passo per la burocrazia che per ciascuna di loro pesa, in media, più di 7 mila euro l’anno: il costo totale di 30 miliardi l’anno scenderebbe di quasi 9 solo applicando le norme varate negli ultimi 5 anni.
Ma forti dei numeri (nell’insieme rappresentano il 94 per cento delle aziende e assicurano oltre il 58 per cento dell’occupazione), le cinque associazioni chiedono anche interventi sul lavoro volti ad una maggiore flessibilità e la sospensione dell’attuale sistema Sistri di tracciabilità dei rifiuti.


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