Gerusalemme, l’incubo delle demolizioni

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Um Bashar non vive tran­quilla. «E’ stres­sante, porto den­tro di me ogni giorno l’angoscia di tro­varmi gli israe­liani davanti alla porta di casa pronti a con­se­gnarmi un ordine di demo­li­zione. Abbiamo costruito casa sei anni fa senza per­messo, l’autorizzazione israe­liana costava troppo e non pote­vamo fare altro, anche noi abbiamo diritto a un tetto». E’ la lega­lità dell’occupante quella intende far rispet­tare Israele che ritiene legit­timo costruire migliaia di case per coloni nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi in vio­la­zione delle leggi inter­na­zio­nali men­tre, con infles­si­bile rigore, fa abbat­tere gli edi­fici arabi “abu­sivi”. A Geru­sa­lemme gli ultimi cin­que lo scorso 27 gen­naio. Altre migliaia sono a rischio nei pros­simi anni, hanno fatto sapere le auto­rità israe­liane qual­che mese fa.

Siamo a Issa­wiya, nella zona Est di Geru­sa­lemme, dove sem­pre più spesso appa­iono i gigan­te­schi bull­do­zer dell’amministrazione comu­nale gui­data dal sin­daco Nir Bar­kat, vicino al pre­mier Neta­nyahu. Um Bashar ci prega di non rive­lare la sua com­pleta iden­tità. «Siamo riu­sciti a sfug­gire ai con­trolli sino ad oggi, non voglio cor­rere rischi facendo il passo falso di rive­lare nome e cognome ai gior­nali», ci dice con il tono di chi teme tutto e tutti. A Issa­wiya e in altri quar­tieri popo­lari di Geru­sa­lemme Est non sono poche le fami­glie pale­sti­nesi che pro­vano la stessa ango­scia di Um Bashar. Il pro­blema delle demo­li­zioni esi­ste da quando Israele ha occu­pato la zona araba della città ed è stata appli­cata la poli­tica di con­te­ni­mento entro il 30% della “quota” di abi­tanti pale­sti­nesi. Anche con quel fine si spie­gano le demo­li­zioni di case, la con­ces­sione con il con­ta­gocce dei per­messi edi­lizi e la revoca ai pale­sti­nesi del diritto di resi­denza a Geru­sa­lemme. Misure che hanno col­pito migliaia di fami­glie poi costrette a lasciare la Città Santa e a tra­sfe­rirsi in Cisgiordania.

Da quando è stato com­ple­tato il Muro intorno a Geru­sa­lemme, un numero impre­ci­sato di fami­glie ha dovuto sce­gliere il ver­sante cisgior­dano della bar­riera a causa della man­canza di alloggi e per il costo ele­vato delle abi­ta­zioni dispo­ni­bili. Deva­stanti sono stati gli effetti dell’aumento ver­ti­gi­noso degli affitti. Non pochi pale­sti­nesi pro­prie­tari di case, spe­cie quelli più ric­chi, met­tono da parte la soli­da­rietà per i loro con­na­zio­nali meno for­tu­nati e affit­tano le case a prezzi stel­lari agli stra­nieri, pre­fe­ri­bil­mente a quelli che lavo­rano per le agen­zie dell’Onu. Scelta che, oltre ad aver dro­gato il mer­cato immo­bi­liare a Geru­sa­lemme Est, fini­sce per aiu­tare le poli­ti­che israeliane.

Alla fine del 2013 il comune ha annun­ciato nuove demo­li­zioni di “edi­fici abu­sivi” a Ras She­hada e Ras Kha­mis – quar­tieri dove, secondo un arti­colo dell’agenzia “Maan”, 15 mila per­sone rischiano di per­dere la casa — get­tando nel dramma tante fami­glie. Qual­cuno prova a ven­dere a prezzi strac­ciati: 150 metri qua­drati per 150 mila she­kel (30mila euro) ma nes­suno com­pra una casa che rischia di essere abbat­tuta. Maher, di Sil­wan, ai piedi della città vec­chia, dove i coloni israe­liani da una ven­tina di anni por­tano avanti il pro­getto di (ri)costruzione della “Città di Re Davide”, ci spiega che il suo quar­tiere è tra quelli più a rischio di demo­li­zioni e che non pochi sognano di tra­sfe­rirsi in un’altra zona: «Sarebbe bello poter andare a Shuaf­fat o a Beit Hanina (quar­tieri a nord di Geru­sa­lemme) ma lì le case meno care costano 600 mila she­kel (oltre 120mila euro) e non posso per­met­ter­melo». Anche Maher vive in una casa abu­siva e vive nell’attesa delle ruspe. Pensa di mol­lare, è una vita che con­si­dera inso­ste­ni­bile. «Pre­sto o tardi mi spo­sterò in Cisgior­da­nia dove puoi com­prare una casa pagando subito 50mila she­kel (10mila euro) e 2000 she­kel ogni mese per quat­tro anni».

Per Sari Kro­nish, della ong israe­liana “Bimkom-Planners for Plan­ning Rights”, è in atto un “tra­sfe­ri­mento pas­sivo”, a bassa inten­sità, della popo­la­zione pale­sti­nese. «Allo stesso tempo – aggiunge – que­sta poli­tica non è facile da attuare. Gli ordini di demo­li­zione riman­gono lar­ga­mente infe­riori al numero di case costruite senza per­messo». In sostanza la linea delle auto­rità si è rive­lata in parte un boo­me­rang per­chè costa troppo abbat­tere le case e i pale­sti­nesi, costretti dalla situa­zione, con­ti­nuano a costruire senza per­messo nono­stante la minac­cia di demo­li­zioni. Il comune di Geru­sa­lemme nega di avere fina­lità poli­ti­che oltre a quelle di “rispetto del piano rego­la­tore” e fa sapere che sono stati inve­stiti negli ultimi anni milioni di she­kel per miglio­rare la vivi­bi­lità nella zona Est. «L’obiettivo di Bar­kat è quello di col­mare il diva­rio (tra Est e Ovest, ndr) che si è appro­fon­dito a causa di decenni di abban­dono di alcune parti della città», sostiene un por­ta­voce in una dichia­ra­zione scritta. «Sono sol­tanto parole, la realtà è ben diversa – replica Jamal Qawa­sme, di Ras Kha­mis — Gli israe­liani non hanno alcun inte­resse per que­sta zona, la poli­zia viene qui solo per fare arre­sti poli­tici e il comune vuole si limita a chie­derci l’arnona (Imu). Subiamo furti, aumenta lo spac­cio di droga ma la poli­zia non agi­sce, lascia fare. Vogliono ren­derci la vita impos­si­bile per farci andare via, in Cisgiordania».


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