Il Cavaliere e il Quirinale

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Chissà, magari quella famosa legge sul conflitto d’interessi che la politica annuncia da vent’anni. L’ultimo è stato Enrico Letta, naturalmente il giorno prima di andare a casa.

Si sa che fra i tanti e così diversi leader che si sono succeduti alla guida del primo partito della sinistra, Pds, Ds e Pd, uno soltanto è stato il tratto comune. Nessuno di loro si è mai tirato indietro quando si trattava di resuscitare Berlusconi. Anche Renzi ha dato una mano, anzi due, prima con l’accordo per la legge elettorale, ora con le consultazioni per il nuovo governo. Non si tratta di fare del moralismo, quello lo si lascia volentieri a Beppe Grillo, che da pregiudicato già ricevuto al Quirinale si stranisce, all’italiana, che Napolitano riceva un altro pregiudicato. È la contraddizione fra mezzi e fini che colpisce. Se si tratta di cambiare tutto, di rivoltare l’Italia come un calzino, secondo la banale metafora di moda, allora bisognerebbe cominciare con il cambiare gli italiani e la nostra consuetudine a tollerare ogni anoma-lia, ogni offesa alle regole e alla decenza. E invece.
Ai seguaci di Renzi, che aumentano di ora in ora, anzi di minuto in minuto, il patto col diavolo pare una grande astuzia. S’è capito ormai che il vero modello del segretario fiorentino del Pd è il Segretario fiorentino, l’immortale autore de “Il Principe”. Può darsi che abbiano ragione loro. Berlusconi non è più la volpe di un tempo. Vent’anni fa è stato lui a imbrogliare Massimo D’Alema, ora forse è lui a esser stato ingannato. Se così fosse, per Renzi sarebbe la vittoria più grande. Ha fatto la stessa cosa del nemico D’Alema, andare a Palazzo Chigi grazie a Berlusconi e in cambio di una qualche Bicamerale. Ma stavolta l’avrebbe fatto nell’interesse suo e, perfino, del Paese, invece che nell’interesse del solito.
Rimane per oggi il fatto che Berlusconi è là, rieccolo. È invecchiato, imbolsito, gravato da una condanna definitiva e da altre in fieri per reati infami, dalla compravendita di senatori alla prostituzione minorile, ma comunque rimane al centro della scena ed è felice di esserlo ancora, nonostante tutto.
Fra le infinite balle che Berlusconi ha raccontato agli altri e prima ancora a se stesso, come diceva Montanel-li, la più grande è il mito della propria insostituibilità alla guida della destra. Senza Berlusconi, come credono i berluscones più sprovveduti e come fingono di credere i cortigiani, in Italia trionferebbe il comunismo. In realtà l’Italia è sempre stata una nazione indecisa fra conservatori e reazionari, dove l’idea stessa di progressismo offende il senso comune. Se ne accorgerà Renzi quando e soprattutto se deciderà di chiedere l’approvazione di leggi sui diritti civili, dallo ius soli alle coppie di fatto. Roba che è già in vigore nel resto dell’Occidente da dieci, venti, trenta anni. La vittoria dei conservatori in Italia è la regola, quella dei progressisti un’eccezione, in genere fortuita e di breve respiro. Senza il fardello di un capo quasi ottuagenario e con un sacco di problemi giudiziari e con la guida affidata a un figlio, a una figlia, a un nipote e meglio ancora a un estraneo al mondo berlusconiano, oggi la destra vincerebbe a mani basse. Il segretario fiorentino allievo del Segretario l’ha capito e su questo si gioca la partita della vita. Forse ha ragione lui e i renziani al seguito, già aumentati di alcune migliaia da quando è cominciato l’articolo. Ma intanto debbono farci dimenticare quell’immagine di Berlusconi al Quirinale, tanto per cominciare, e non sarà facile.


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