Quella sfida al Quirinale che non invalida la procedura

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ROMA — Dopo che la crisi si è pubblicamente consumata, la chiave per risolverla doveva essere la velocità. Il passaggio di consegne a Palazzo Chigi andava dunque fatto «nel più breve tempo possibile», altrimenti sarebbe aumentata la confusione. Questo ha chiesto Giorgio Napolitano ai propri consiglieri, pregandoli di congegnare le consultazioni su ritmi serrati, in modo da rendere possibile l’affidamento dell’incarico al nuovo premier entro domani o, al più tardi, lunedì. E così sarà. Le dimissioni di Enrico Letta, presentate come «irrevocabili», non hanno reso necessario il passaggio parlamentare chiesto da più fronti, ma giudicato una perdita di tempo anzitutto da Letta, cui sarebbe spettato proporlo per primo. Il trauma umiliante del voto venuto dalla direzione del Pd basta e avanza anche per un uomo capace di un’imperturbabilità zen: la rinuncia era obbligata e il capo dello Stato non poteva che «prenderne atto».
Ma non è per questo che la procedura avviata al Quirinale occuperà un capoverso nelle pagine di storia patria. Infatti, i precedenti di crisi extraparlamentari scivolate via «senza previa comunicazione alle Camere» e senza traumi sono almeno una trentina, e due nell’ultima legislatura (la fine del Berlusconi-IV nel 2011 e quella dell’esecutivo Monti, nel 2012), come ha sottolineato il segretario generale del Colle, Donato Marra. In ogni caso, ha detto ancora Marra davanti alle tv, «il Parlamento potrà esprimersi sulle origini e sulle motivazioni della crisi quando sarà chiamato a votare la fiducia al nuovo esecutivo». Critiche inutili, quindi. Mentre quel che peserà saranno le diserzioni aspramente polemiche di due gruppi politici di peso: il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord.
«Le consultazioni sono un rito che Napolitano dovrebbe, per decenza, risparmiarci. Queste, poi, sono consultazioni farsa, l’ultimo canto del cigno del presidente, un’immensa presa per il c… non ci saremo», ha sparato un astioso Beppe Grillo sul blog, mentre i pentastellati annunciavano contemporanee contro-consultazioni nelle stesse ore in piazza del Quirinale. «Ci saremmo andati se avessimo potuto integrare la nostra delegazione con rappresentanti del Paese reale, gli esodati, gli alluvionati, un sindaco di un Comune terremotato, un presidente di Provincia e un presidente di Regione. Ci è stato detto che il cerimoniale e la prassi romana non prevedono queste incursioni territoriali. Se dobbiamo fare fantapolitica, me ne sto a casa… Abbiamo altro da fare», lo ha imitato su un altro versante rivendicativo il segretario del Carroccio, Matteo Salvini.
Un doppio sfregio che va oltre il puro e semplice carattere propagandistico, perché sottintende un disconoscimento delle istituzioni, ma che non può certo invalidare la procedura. La provocazione, comunque, resta. E nel caso della Lega, partito che ha avuto ruoli di governo e nelle istituzioni, suona particolarmente pesante se il Quirinale si cura di far sapere che il capo dello Stato «ha appreso quell’annuncio con stupore e rincrescimento». Spiegando poi che la richiesta avanzata da Salvini «avrebbe dovuto condurre a un allargamento delle delegazioni di tutte le forze politiche in termini chiaramente incompatibili con il carattere e con i tempi delle consultazioni».
Insomma, chiunque capisce che non si poteva proprio fare. Tantomeno quel pretesto regge se si considera il passo di carica che Napolitano si è imposto per sbrogliare la crisi. «Bisogna affrontare una complessa fase successiva» a questa appena delineata. Bisogna non disperdere il lavoro compiuto nella «delicata situazione economica del Paese». E bisogna non abbandonare il cantiere delle riforme appena riaperto. Ecco le sue raccomandazioni. Alle quali ha aggiunto, con realismo: se Berlusconi domanda di accompagnare i rappresentanti di Forza Italia, partito di cui è presidente, non si può non riceverlo. Il consulto si chiuderà stasera. Tra domani e lunedì mattina, prima dell’apertura dei mercati, tutto sarà nelle mani di Renzi.
Marzio Breda


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