È la Tasi la prima grana del nuovo premier

È la Tasi la prima grana del nuovo premier

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ROMA — Nuovo governo, vecchie grane. Quella di Renzi si chiama Tasi. E necessita di essere risolta con rapidità e priorità assolute, visto che ancora manca un decreto essenziale. Senza questo provvedimento, i sindaci non sono in grado di chiudere i bilanci e dunque di evitare un buco da 625 milioni, dovuto al dislivello tra vecchia Imu e nuova tassa sulla casa. Un testo in realtà già esiste. Scritto per essere varato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, è stato poi risucchiato dalla crisi di governo aperta dalla dimissioni di Letta. «Ho visto quel testo e posso dire che rispecchia l’accordo negoziato a fine gennaio con Delrio e Saccomanni», conferma Piero Fassino, presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni. «Sono fiducioso però che sarà ripresentato al primo Consiglio dei ministri utile, dopo la formazione del nuovo governo, così come convenuto sia con Delrio che con Renzi».
Il ministro uscente Graziano Delrio in effetti rappresenta l’anello di congiunzione tra i due esecutivi Letta-Renzi. E l’unico effettivo garante del patto del 28 gennaio scorso, quando i Comuni riuscirono ad ottenere dal governo 500 milioni sicuri per colmare il gettito mancante e la promessa di cercarne altri 125. In più, la possibilità di alzare le aliquote Tasi dello 0,8 per mille, da distribuire in modo flessibile e “federale” tra prime e seconde case, così da destinare queste nuove entrate alle detrazioni per le famiglie numerose o in difficoltà. Ma senza un decreto che metta nero su bianco i 625 milioni (variando così la destinazione dei 500, stanziati dalla legge di Stabilità di dicembre, dalle detrazioni alle esigenze di gettito), i Comuni non solo non potranno alzare le aliquote e dunque definire gli sconti per non far
pagare la Tasi a chi era Imu-esente. Ma non potranno neanche definire i bilanci.
Un regolamento del ministero dell’Interno – firmato da Alfano alcuni giorni fa – ha perlomeno spostato la data di presentazione dei bilanci comunali dal 28 febbraio al 30 aprile, offrendo così ai sindaci un paio di mesi in più per far quadrare i conti. Eppure questo non basta a chiudere la partita della Tasi. Perché intanto occorre trovare la copertura per i 125 milioni solo “promessi” (un’ipotesi in campo è stornare questa cifra dal gettito statale dell’Imu sui capannoni che vale 4 miliardi l’anno). E poi risolvere una serie di altre questioni, tutt’altro che secondarie per sindaci e cittadini. Come quella dei bollettini precompilati, previsti come obbligatori dalla legge di Stabilità, ma forse inattuabili visto che ogni Comune può fare le detrazioni come vuole, ad esempio legandole all’Isee, ma rendendo così più complicato
il calcolo a monte. Senza parlare poi del caos scadenze. Ogni municipio può fissare le rate: due o più, o anche solo una (a giugno). Con il rischio che 8.092 Comuni decidano altrettante date differenti, per di più non coincidenti con Imu (su seconde case e prime di lusso) e Tari (spazzatura). La semplificazione fiscale così tante volte auspicata da Renzi diventa dunque ora un urgente dossier di governo.


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«La banca cen­trale esi­ste per pre­ve­nire com­por­ta­menti i quali pro­vo­cano l’instabilità della finanza: deve gover­nare l’evolvere delle isti­tu­zioni finan­zia­rie, pro­muo­vere le isti­tu­zioni e le prassi sta­bi­liz­zanti, sco­rag­giare quelle desta­bi­liz­zanti» (H.P. Min­sky, Sta­bi­li­zing an Unsta­ble Eco­nomy, Mc Graw-Hill, New York, 2008 (1986), p. 349).

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