Nigeria, milizie islamiche scatenate

Loading

Tra le vittime dei fanatici di Boko Haram cristiani e musulmani Gli assalitori sono arrivati intorno alle 21 e 30 a bordo di sei camioncini e diverse motorette cantando «Allah è grande». Secondo i testimoni citati dalle agenzie France Press e Ap indossavano divise militari. La strage di sabato sera, nel villaggio di Izghe nel Nord-Est della Nigeria, si è consumata secondo il copione seguito da Boko Haram, il gruppo di estremisti islamici che da almeno quattro anni insanguina un gigantesco spicchio di Nigeria, non abbastanza importante economicamente (niente petrolio da quelle parti) per impensierire seriamente il governo centrale di Abuja o i potentati finanziari di Lagos.
L’ennesima lontanissima strage: oltre novanta vittime, secondo fonti dell’agenzia Reuters , uccise a sangue freddo dai predoni di Boko Haram (il nome significa più o meno «proibita l’educazione occidentale»). Non è proibito uccidere per i miliziani spesso travestiti da militari che infestano soprattutto lo Stato del Borno, il più distante e vulnerabile del Paese, culla del movimento integralista che vuole fondare un emirato islamico nel Nord della Nigeria. «Gli assalitori hanno intimato agli uomini del villaggio di radunarsi tutti in uno spiazzo, e poi hanno cominciato ad ammazzarli con le armi da fuoco e i machete — ha raccontato Barnabas Idi all’Afp —. Altri hanno cominciato a setacciare casa per casa alla caccia di chi si era nascosto». Barnabas è stato fortunato: per 40 minuti non l’hanno trovato. Poi il gruppo se n’è andato come era venuto, senza incontrare resistenza: hanno saccheggiato e rubato provviste prima di portarle via rubando gli automezzi degli abitanti. I loro sei camion non erano abbastanza per il bottino. Se ne sono andati indisturbati: a Izghe non c’erano forze di sicurezza, c’è chi sostiene che in un precedente attacco Boko Haram avesse già ucciso i poliziotti del villaggio. Certo l’aumento delle truppe nell’area del Nord-Est ordinato dal presidente nigeriano Goodluck Jonathan nel maggio scorso non sembra aver portato sicurezza. Accade spesso, dopo un’offensiva dei militari, che gli estremisti si vendichino sui civili indifesi, prima di rifugiarsi nelle inespugnate roccaforti della zona collinosa di Gwoza al confine con il Camerun. In attesa di un nuovo giro di sangue. La settimana scorsa altri due villaggi erano stati attaccati in un raid che ha provocato oltre 40 vittime. Ogni volta chi sopravvive scappa: sabato notte l’esodo da Izghe ha coinvolto donne e bambini in fuga dal Borno verso lo Stato di Adamawa. L’area delle maggiori stragi è punteggiata di villaggi cristiani in una regione abitata prevalentemente da musulmani. Nella scelta degli obiettivi Boko Haram dimostra un certo beffardo «ecumenismo», pur privilegiando gli attacchi alle comunità cristiane meglio se riunite in chiesa alla domenica. Ma spesso (come sembra sia accaduto sabato sera) la campagna del terrore prende di mira anche i musulmani: nelle moschee, nelle scuole, nelle strade, alle feste di matrimonio.
«I corpi delle vittime sono ancora nella polvere — raccontava ieri sera un contadino atterrito, Abubakar Usman, all’agenzia Reuters —. Siamo scappati senza seppellire i nostri cari, per paura che i terroristi potessero tornare». Succede anche questo, nella mattanza dimenticata del Borno: che i peggiori massacri avvengano mentre si seppelliscono le vittime dei precedenti.
Michele Farina


Related Articles

L’Isis perde Dabiq, il «villaggio della profezia» E nella notte è iniziata la battaglia per Mosul

Loading

I ribelli con l’aiuto dei turchi conquistano la città simbolo dello «scontro finale» tra Islam e Occidente

Debaltsevo, la disfatta ucraina In mano russa il nodo strategico

Loading

Questo era il polmone industriale del gigante sovietico. Le sue fabbriche sembrano adesso vere cattedrali nel deserto, desuete, nere e arrugginite

Pakistan, un inutile massacro

Loading

Washington chiede all’alleato maggiore impegno nella guerra ai talebani nelle Aree tribali

La scorsa settimana la Casa Bianca ha criticato, per l’ennesima volta, l’inconcludente strategia militare del governo pachistano contro le roccaforti talebane nelle Aree tribali di confine, prendendo ad esempio gli scarsi successi dell’operazione ‘Brekhna (Fulmine in urdu) lanciata a gennaio nella regione di Mohmand.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment