Il governo di Kiev tra duri e moderati

Il governo di Kiev tra duri e moderati

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Bernardo Valli, la Repubblica

È UNA mossa classica. Antica. Ma sempre alla moda perché impressiona. È quella di chi vuole intimidire e mostra i muscoli, senza usarli. Si spera. Il bellimbusto di turno, che dovrebbe limitarsi all’esibizione, è un leader di rango. Per richiamare all’ordine i vicini insubordinati Vladimir Putin ha messo in stato d’allarme le forze armate dei distretti occidentali confinanti con quelli nord orientali dell’Ucraina.

Ha così dato, dopo le minacce economiche, un carattere militare alla tensione con la rivoluzione di Kiev. L’ha fatto alla grande perché il ministro della Difesa, Serguei Choigu, ha detto che si tratta di verificare la capacità delle truppe ad agire «nel caso di una crisi suscettibile di colpire la sicurezza del Paese». Lo stesso Putin dovrebbe ispezionare nei due distretti la Sesta e Ventesima armata, ed anche la Seconda nel distretto centrale. Non si tratta di dettagli. Le truppe in stato d’allarme contano decine di migliaia di uomini, con annessi mezzi aerei e blindati. Serguei Choigu non ha menzionato l’Ucraina e il suo annuncio è stato seguito da una pioggia di candide dichiarazioni che escludevano ogni possibile sospetto in quel senso. Lo stato d’allerta sarà accompagnato da misure tese a garantire la sicurezza delle installazioni e degli armamenti della flotta russa del Mar Nero, basata in Crimea. La provincia che sta più a cuore a Mosca, è in queste ore teatro di spettacolari scontri tra gruppi di origine russa e nazionalisti ucraini.
L’annuncio militare russo non è stato preso troppo sul serio dalla Casa Bianca. Un suo portavoce ha invitato Mosca a smetterla «con le dichiarazioni retoriche e provocatorie ». Il segretario di Stato Kerry è stato più garbato. Per lui Putin manterrà la promessa di rispettare l’integrità dell’Ucraina. Nel pomeriggio, qui a Kiev, le notizie provenienti da Mosca hanno elettrizzato la Piazza. Si è subito pensato che la mossa militare di Putin abbia come obiettivo non solo di intimidire la rivoluzione ma anche di dare energia alle forze filorusse, che sono proprio quelle in prossimità dei distretti militari messi in stato d’allerta.
È in una Piazza in preda a una forte eccitazione che a tarda sera il presidente della Repubblica ad interim, Oleksander Turchynov, ha presentato la composizione del nuovo governo. I deputati lo voteranno oggi ma Turchynov ha voluto far conoscere la lista dei ministri prima alla Piazza. Ha voluto che fossero approvati dalla rivoluzione. Gli applausi non sono mancati alla lettura di alcuni nomi. Non di tutti. Quelli che hanno raccolto più consensi non piaceranno a Putin. La loro nomina sembra una brusca risposta al linguaggio militare di Mosca.
Il primo ministro è Arseny Yatsenyuk, l’avvocato di 39 anni che è già stato direttore della banca centrale, ministro degli Esteri, speaker del Parlamento e capo del partito di Julia Tymoschenko dal 2011, quando l’ex primo ministro è stato arrestata. Yatsenyuk ha appoggiato la rivoluzione della Majdan fin dall’inizio. Ma è stato uno dei tre oppositori moderati firmatari dell’accordo, mediato da tre ministeri degli esteri europei (il polacco, il tedesco e il francese), che lasciava Viktor Yanukovic al potere ancora per un anno. Il documento sconfessato dalla Piazza, ha provocato il crollo del regime.
Arseny Yatsenyuk è apprezzato dagli occidentali e in particolare dagli americani. Il suo nome potrebbe essere accettato anche dai russi, come uomo di fiducia di Julia Tymoshenko. La quale è destinata ad avere un ruolo chiave, malgrado la cattiva salute. Ha buoni, eccellenti rapporti con Angela Merkel, ma anche con Vladimir Putin. Nel passato il presidente russo l’ha apprezzata. È nata in una provincia russofana (a Dniepropetrovsk), ha fatto fortuna con il gas proveniente dalla Russia, e benché non abbia sempre adottato politiche gradite da Mosca, quando si è ammalata in carcere Putin ha proposto che venisse curata in Russia. Insomma Putin stima o ha stimato Julia Tymoshenko molto di più del fedele, ma non apprezzato, Viktor Yanukovic (che adesso si troverebbe a Mosca, come esule di lusso, in una dacia non lontana da quella presidenziale). Arseny Yatseniuk, il nuovo primo ministro, oltre ad essere un moderato, può dunque usufruire dell’appoggio di Julia Timoshenko. Le è succeduto alla testa del partito Patria e adesso la rappresenta in fondo come primo ministro, a causa della sua malattia. Ed anche perché in patria suscita meno diffidenze di lei, eroina ma anche oligarca.
Un altro uomo chiave del nuovo governo, il ministro della difesa, Andrei Parubij, 43 anni, è un personaggio legato a Julia Tymoshenko. Ma il suo ruolo nella rivoluzione di Majdan è stato più impegnativo di quello del futuro primo ministro: era il capo militare della Piazza, era incaricato della Difesa. Per questo gli è stato assegnato il ministero fino a ieri occupato da un ammiraglio, il cui compito era anche di mantenere i rapporti con i parigrado russi della base navale di Sebastopoli, in Crimea, attigua a quella ucraina. Andrei Parubij non avrà la stessa familiarità con gli ammiragli russi. Né darà le stesse garanzie al Cremlino. L’appoggio di Julia Tymoshenko gli sarà utile. Non sarà invece sufficiente al suo vice ministro della Difesa, Dimitri Yarosh, che nella Majdan ha rappresentato, come capo del “settore di destra”, l’estremismo nazionalista. Yarosh
era il duro dei duri. Quando Mosca denunciava i «banditi fascisti», mascherati e col kalascnikov, si riferiva spesso a lui. Anche l’ala intransigente della rivoluzione doveva essere rappresentata nel governo. Putin non gradirà.



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