Gli articoli ormai li scrivono i software, cari giornalisti dobbiamo cambiare

Gli articoli ormai li scrivono i software, cari giornalisti dobbiamo cambiare

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Qualche settimana fa Christer Clerwall, professore associato e ricercatore dell’Università di Karlstad, Svezia, ha sottoposto al vaglio di 46 laureandi in comunicazione due brevi articoli su una partita di Football americano: uno dei due scritto da un giornalista del Los Angeles Times, l’altro composto da un software. Il risultato è stato sorprendente. Gli studenti, infatti, non hanno saputo riconoscere quale dei due testi fosse stato scritto da un umano e quale, invece, generato da un computer. Dei 18 che hanno letto l’articolo del giornalista, 10 si sono detti sicuri che fosse stato originato da una macchina; tra i 27 cui è stato sottoposto il pezzo “firmato” da un robot, 10 ne hanno attribuito la paternità al reporter del quotidiano californiano.

A qualcuno potrebbe sembrare pura fantascienza, ma quello definito alternativamente “robot Journalism” o “computer-generated reporting” è già una realtà. Forbes, storico bisettimanale americano di economia e finanza, pubblica sul proprio sito internet ogni giorno un articolo generato dal software di Narrative Science, la società leader di un settore in espansione. Nata come progetto di ricerca della Northwestern University, Narrative Science unisce un sistema di analisi ed elaborazione dei big data ad un programma, denominato Quill, in grado di convogliare i dati raccolti in un articolo narrativo, costituito da frasi e parole di senso compiuto. Già nel 2012, Narrative Science forniva i propri contenuti ad oltre trenta editori: tra di essi c’era proprio Forbes, una delle prime grandi testate a sperimentare il funzionamento del giornalismo computer-generated

Gli studi di settore sono ancora pochi: Clerwall è tra i pionieri della ricerca nel campo. I risultati da lui ottenuti nelle sperimentazioni con gli studenti non possono essere considerati molto attendibili, o non ancora, perché basati su un campione troppo piccolo. Tuttavia, alcuni indicatori raccolti dal professore sono significativi. Quando Clerwall ha chiesto agli studenti-lettori di descrivere le peculiarità dei due articoli analizzati, molti ragazzi hanno definito il testo generato dal software più “credibile”, “accurato” e “oggettivo” rispetto a quello firmato dal giornalista che, però, è risultato più “piacevole”, “chiaro” e “ben scritto”. «Benché le differenze siano veramente minime», si legge nelle conclusioni della ricerca di Clerwall, «il pezzo scritto da un robot ha totalizzato più punti di quello scritto da un umano, ed è stato ritenuto in generale più attendibile».

Benché la diffusione del “robot journalism” stia aumentando considerevolmente, pochi lettori sembrano essersene accorti, a dimostrazione della credibilità raggiunta dai testi originati dai computer. I servizi offerti da compagnie come Narrative Science e Automated Insights vengono utilizzati oggi da molte testate autorevoli tra cui, oltre a Forbes, figurano Business Insider, Huffington Post e Sports Illustrated. I vantaggi di affidare la produzione dei contenuti ad un software sono evidenti: un computer è in grado di analizzare enormi quantità di dati, come ad esempio migliaia di messaggi Twitter, in un battito di ciglia, è capace di elaborare una storia altamente informativa in pochi secondi e di pubblicarla automaticamente sul sito e, soprattutto, costa meno di un giornalista, non si ammala, non si stanca, può lavorare 24 ore su 24.

Se siamo di fronte ai prodromi di una quarta rivoluzione industriale, quella in cui l’innovazione tecnologica cambierà radicalmente l’industria culturale, è ancora presto per dirlo. Fare completamente a meno dei giornalisti, fortunatamente, non è possibile, almeno per ora. Si pensi ai reportage di guerra, alle interviste, alle inchieste o alle recensioni musicali o cinematografiche: quattro esempi di prodotti giornalistici che, senza l’uomo, perderebbero interamente il loro significato. Ci sono, tuttavia, alcuni campi in cui il giornalismo “robotizzato” funzion, in particolare quando le macchine si trovano davanti fatti chiari e circostanziati e devono procedere all’analisi di grandi quantità di numeri: la scrittura di notizie semplici di cronaca, sport, finanza ed economia potrebbero in futuro essere anche del tutto appaltate a software e algoritmi, a condizione che gli elementi fondamentali della “storia” siano tutti disponibili (sul web o comunque in digitale) e che la raccolta delle informazioni e dei dati necessari possa avvenire tramite computer.

Sarà un’apocalisse, come scriveva Emily Bell sul Guardian già nel 2012? Non è detto. Forse, in futuro, software e uomini coesisteranno, mentre editori e giornalisti riusciranno a trarre beneficio dalla coesistenza tra menti digitali e cervelli umani. Nel frattempo, potete mettervi alla prova leggendo due articoli su altrettanti terremoti verificatisi recentemente in California – uno pubblicato da Startribune, l’altro dal Los Angeles Times. Riuscite a distinguere chi è l’uomo e chi è la macchina?
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