Renzi alla Ue: il 3 per cento va cambiato

Renzi alla Ue: il 3 per cento va cambiato

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«Il parametro deficit/Pil al 3 per cento è anacronistico». Renzi annuncia così alla Camera, in vista del Consiglio Ue a Bruxelles, la posizione dell’Italia sui vincoli europei. Il governo frena sui tagli a Difesa e autotrasporto. Il premier rivendica le scelte sui risparmi.
Il tetto del 3 per cento? «Anacronistico». La spending review di Cottarelli? «Decideremo noi», siamo «a favore del ceto medio ». Matteo Renzi, nel mezzo di una girandola di incontri europei, e di ritorno dal faccia a faccia con la Merkel, non perde lo smalto. Si prepara alla due giorni del Consiglio europeo che comincia oggi a Bruxelles chiedendo all’Europa «un cambio di atteggiamento».
Dalla tribuna della Camera (è la seconda volta), ieri il presidente del Consiglio ha anticipato la posizione dell’Italia. «Non ci presenteremo con il cappello in mano », ha annunciato intervenendo, come al solito, a braccio. «Dobbiamo uscire dalla dimensione per cui l’Europa ci controlla i compiti e ci fa le pulci, Italia e Europa non sono due controparti: siamo sulla stessa barca».
Nessun timore reverenziale, testa alta. Giudizi severi sul tetto del 3 per cento del deficit fissato dal Trattato di Maastricht: «E’ oggettivamente anacronistico», ha osservato il premier promettendo «una battaglia politica per provare a cambiarlo». Ma al momento, nessuna tentazione di sfondamento o forzature, soprattutto dopo la visita a Berlino. Così Renzi circoscrive la nostra posizione ispirata al mantenimento degli «impegni». Ribadisce: «Non è necessario uno sforamento del 3 per cento ma il rispetto del 3 per cento con una eventuale, possibile, modifica dal 2,6 al 3».
Anche se la voglia di rivendicare margini maggiori traspare e non è sopita, se non altro guardando a come si comportano gli altri: «La Francia sfora il 4 per cento mentre noi abbiamo ampiamente le carte in regola», osserva. Aggiunge che bisogna «lottare contro una deriva tecnocratica e burocratica». Più politica e meno numeri. E concede un inedito onore delle armi all’ex ministro dell’Economia del centrodestra: su questo «ha ragione Tremonti».
Tutti argomenti che saranno spesi da oggi a Bruxelles, puntando anche sui risultati già ottenuti. Tanto più che il nostro debito pubblico negli ultimi anni, osserva il premier, è sceso (al netto del salva-Stati e dei crediti-imprese). La parola chiave della strategia di Renzi resta tuttavia quella delle riforme: il solo ingrediente in grado di darci «credibilità» nel confronto con l’Europa. Così si appella a deputate e deputati: «Ci aspettano otto mesi di discussione molto dura: riforma costituzionale, istituzionale, elettorale e cambio di politica economica legandosi a una visione non incentrata sull’austerity, ma su crescita e sviluppo». Poi guarda Sel, e puntualizza anche a sinistra: il copyright dello slogan «noi vogliamo un’altra Europa» è «di Hollande e non di Tsipras». Lega e M5S non rinunciano a qualche contestazione.
Renzi rivolge lo sguardo alla disoccupazione giovanile, a livelli «atroci» che «gridano vendetta». Il lavoro non si crea «per decreto», dice, ma il disegno di legge delega deve essere approvato in «tempi certi», prima del vertice europeo di Roma.
Mentre è ancora caldo l’effetto provocato dalle settanta slide di Cottarelli, presentate l’altro giorno in Senato, con le sue ricette su previdenza e stato sociale, accusate di affossare il ceto medio, Renzi gira alla larga. Il nostro, assicura, è un intervento «immediato a favore del ceto medio». Così, dopo aver dovuto smentire il prelievo sulle pensioni, ieri il premier ha preso ulteriori distanze: «Il commissario ci ha fatto l’elenco e toccherà a noi come parte politica individuare dove tagliare o no».


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