Il volto normale di Marine Le Pen che mette in crisi socialisti e moderati

Il volto normale di Marine Le Pen che mette in crisi socialisti e moderati

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In Francia esiste una tradizione secondo cui il partito al potere perde sempre le elezioni locali intermedie. L’intensità della sanzione varia secondo le epoche, ma nessuno è riuscito a evitarla.
Trattandosi di François Hollande e del suo governo, la cui popolarità è ai livelli più bassi, sarebbe quindi stato sorprendente che essi facessero eccezione. Infatti, il primo turno delle elezioni amministrative, che si è svolto domenica 23 marzo, ha segnato un netto arretramento della sinistra (che è passata sotto il 40 per cento) e una forte avanzata della destra (che è salita sopra il 46 per cento). Considerando tale semplice enunciato, il verdetto è chiaro: una sanzione per il governo, un incoraggiamento per l’opposizione. Sta adesso a quest’ultima raggiungere la meta al secondo turno, conquistando un numero massimo di città.
Il paragone pertinente è quello con le elezioni amministrative del 2008, che avevano segnato un successo storico della sinistra, e dunque una sconfitta storica della destra, all’epoca della presidenza Sarkozy, che aveva perso una trentina di città di oltre 30.000 abitanti. Bisognerà quindi vedere se, la sera del secondo turno, la sinistra, sotto la presidenza Hollande, perderà più o meno di una trentina di città oltre i 30.000 abitanti. Se ne perderà di più, si potrà parlare di un voto sanzione. Nel caso contrario, avremo a che fare con un riequilibrio, tale da cancellare semplicemente l’anormalità dello scrutinio del 2008.
Ma certo è che l’elemento importante del primo turno consiste nel risultato ottenuto dal Front national di Marine Le Pen. Se ci atteniamo alla statistica nazionale, con il 6 per cento, è un risultato debole. Occorre però osservare piuttosto il risultato dei candidati di estrema destra, là dove questa era presente. Cioè in circa 600 Comuni (la Francia ne conta 36.000). È qui che la percezione cambia: nel 2008 i candidati di estrema destra avevano raccolto 150.000 voti in un centinaio di Comuni; oggi, con quasi un milione, sono sei volte più presenti. E là dove l’estrema destra si è presentata, la media dei voti ottenuti è del 16,5 per cento. Un risultato vicino a quello che Marine Le Pen aveva raggiunto nelle elezioni presidenziali del 2012 (18 per cento).
È proprio questo il principale insegnamento dello scrutinio: un Front national presente al secondo turno in oltre 220 città (oltre 300, secondo il portavoce del Fn). Tale progresso locale ha portato Marine Le Pen a dichiarare che stiamo assistendo alla fine della bipolarizzazione della vita pubblica e alla nascita di un nuovo tripartitismo. Il voto di domenica scorsa segna incontestabilmente per lei una progressione nel lavoro di insediamento e di radicamento del Fn che aveva avviato con il suo «Raggruppamento blu Marine».
Da questa situazione derivano due problemi. Il primo riguarda la destra che, fra i due turni, si chiude in un atteggiamento alla Ponzio Pilato: né Partito socialista, né Front national, conseguenza logica dell’abbandono da parte del partito di centro-destra Ump, della dottrina Chirac, secondo cui bisognava fare sbarramento contro il Fn. Quello che gli attuali dirigenti dell’Ump non hanno ancora capito è che esiste una grande differenza fra il parlare agli elettori del Fn, e parlare come il Fn. In un caso, ci si affronta, nell’altro si favorisce l’ascesa del Fn. Ebbene, questo secondo atteggiamento si è affermato a destra. I discorsi di Nicolas Sarkozy in particolare hanno reso porose le frontiere ideologiche fra destra ed estrema destra.
Il progetto di Marine Le Pen non è, come potrebbero fantasticare alcuni rappresentanti dell’Ump, di allearsi un giorno con la destra per accedere al potere. Il suo progetto è in realtà di sostituirsi all’Ump. Riguardo a questo piano, Marine Le Pen ha considerato, il 23 marzo, di aver realizzato un primo passo.
Il secondo problema concerne il presidente della Repubblica. Se François Hollande ritiene che la sinistra stia subendo un arretramento in fin dei conti classico, e banale, in un periodo in cui è al governo, potrebbe essere tentato dallo status quo . Qualunque cosa accada la sera del secondo turno, è urgente cambiare l’ordine delle cose, quindi cambiare governo. Il che significa naturalmente una équipe diversa con un Primo ministro diverso. Per due ragioni, a dire il vero quasi indipendenti dallo scrutinio, sebbene il voto sia sempre un buon pretesto. Da un lato, la debolezza del Presidente agli occhi dell’opinione pubblica deriva per l’essenziale dalla debolezza del suo dispositivo politico. Ciò vale per l’organizzazione dell’Eliseo come per quella del governo, la cui responsabilità è del Primo ministro: troppe disfunzioni, troppi annunci e contro-annunci, che danno l’impressione di lentezza e dilettantismo. Più questo sistema perdura, più il Presidente continuerà a indebolirsi. D’altra parte, la conferenza stampa che François Hollande ha tenuto a metà gennaio definiva una nuova rotta, una politica cosidetta dell’offerta, la cui chiave di volta è il «patto di responsabilità». E non può essere incarnata dallo stesso Primo ministro né dallo stesso governo, perché il suo discorso ha costituito un cambiamento di direzione nato dalla presa di coscienza che la Francia, mentre tutta l’Europa riparte, potrebbe avere solo una ripresa troppo debole per far diminuire in maniera durevole la disoccupazione. Hollande dovrà verosimilmente farsi violenza, uscire dalla situazione comoda che gli ha conferito l’attuale Primo ministro e mostrare, con le sue scelte, che la professionalizzazione e la coerenza saranno le parole d’ordine di una nuova squadra.
(traduzione di Daniela Maggioni)


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