Il no del Senato alle Province La fiducia ricompatta la maggioranza

Il no del Senato alle Province La fiducia ricompatta la maggioranza

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Ma al governo mancano nove voti
ROMA — Al Senato, sul disegno di legge Delrio che proroga al 31 dicembre i commissari in 73 Province e istituisce 9 città metropolitane (più Roma Capitale), il governo Renzi ottiene la fiducia con 27 voti di vantaggio ma si ferma a quota 160, ovvero non supera la soglia della maggioranza assoluta dell’assemblea (161) quando il plenum è al completo.
Da febbraio, quando si presentò alle Camere, l’esecutivo perde 9 voti a Palazzo Madama: quelli dei due popolari per l’Italia, Di Maggio e Rossi, sembrano difficilmente recuperabili mentre il dissenso di Mario Mauro e del resto del gruppo è (per ora) rientrato. Le assenze di ieri, invece, dovrebbero essere legate al caso: tre nel Nuovo centro destra (Compagna, Colucci, Bilardi), una nel Pd (Turano), una di Scelta civica (Maran), una delle Autonomie (Fausto Longo). Il nono voto mancante è quello del senatore a vita Carlo Rubbia che il 24 febbraio disse sì al governo e ieri non ha risposto alla chiama. Lo scarto con l’opposizione — ferma a 133 voti — è comunque consistente grazie alle defezioni di grillini ed ex grillini (5), degli azzurri di Forza Italia (4, tra cui Verdini e Scilipoti) e di alcuni esponenti delle Autonomie.
Oltre la stretta contabilità di un voto, c’è il successo del governo che porta a casa (anche se manca un passaggio alla Camera) un testo di grande impatto sull’opinione pubblica. Non a caso il sottosegretario Graziano Delrio, che ha dato il nome al ddl quando era ministro per gli Affari regionali con Letta, tira un sospiro di sollievo dopo il voto ad alto rischio sulle pregiudiziali di martedì (115 a 112): «Un Paese più semplice e capace di dare risposte. Non più elezioni per le Province e dopo 30 anni le città metropolitane».
In realtà, le elezioni a maggio nelle 73 Province già commissariate erano state scongiurate dalla legge di stabilità 2013 con la proroga dei presidenti-commissari fino al 30 giungo 2014, cioè dopo l’election day del 25 maggio. Con il ddl Delrio la proroga slitta al 31 dicembre ma potrebbe non bastare perché per la cancellazione delle Province necessita una legge di rango costituzionale che ancora non ha preso l’avvio. Per chiudere il quadro, senza addentrarsi nel ginepraio delle Province siciliane e sarde, nel 2015 andranno in scadenza 4 Province ancora governate da una compagine politica (Caserta, Imperia, L’Aquila e Viterbo) mentre nel 2016 toccherà a nove consigli provinciali scomparire (Campobasso, Lucca, Macerata, Mantova, Pavia, Ravenna, Reggio Calabria, Treviso, Vercelli).
Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi (Pd) — contestata in aula da Maurizio Gasparri (FI), da Roberto Calderoli (Lega) e dai grillini che non le hanno risparmiato lezioni di diritto parlamentare — ha ripreso lo slogan coniato dal premier Renzi: «Sì del Senato al superamento delle Province, 3000 poltrone in meno». Ma su questo tema si è levato un durissimo intervento di Loredana De Petris (Sel): «Il governo non elimina le Province, fa solo propaganda».
Il governo stima di risparmiare forse anche 800 milioni ma l’ex ministro Calderoli e Piergiorgio Zanettin (FI) calcolano che il ddl Delrio «produrrà 26 mila poltrone in più». In realtà, si tratta di strapuntini da 10 euro a seduta: il testo infatti aumenta, a parità di bilancio, i consiglieri nei Comuni con meno di 3.000 abitanti (da 6 a 10) e in quelli tra 3.000 e 10 mila abitanti (da 7 a 12). Nei mini municipi, poi, vengono ripristinate le giunte e il terzo mandato.
Claudio Martini (Pd), ex governatore della Toscana, pur ammettendo che questo «non è un provvedimento organico», ha detto che bisognava partire «con atti e comportamenti volti ad arginare qualunquismo e populismo» spingendo «sulla cura dimagrante per lo Stato». Poi, tanto per puntualizzare, Martini si è rivolto a Calderoli: «Ce le ricordiamo ancora le sedi dei ministeri trasferite a Monza mai aperte».
Dino Martirano



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