Le condizioni di Etihad “Ora Alitalia deve tagliare debiti e 2.500 dipendenti”

Le condizioni di Etihad “Ora Alitalia deve tagliare debiti e 2.500 dipendenti”

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PRIMA il debito, gli esuberi e il pieno supporto del governo ai nodi infrastrutturali. Poi, se le condizioni saranno soddisfatte, si potrà aprire la sospirata fase finale che negli auspici di Alitalia porterà entro maggio all’acquisizione da parte di Etihad. Non è tempo di lettere accomodanti, di accordi decisi dai governi che possano volare alti sopra le teste dei manager di Etihad. Abu Dhabi ha dato mandato al numero uno James Hogan di portare a casa un accordo blindato, non certo il via libera ad acquisire Alitalia a qualunque costo. Vero è che i signori del Golfo vogliono mettere le mani su un bel pezzo di cieli europei passando per Roma e per farlo dovranno agire, ma senza avere troppa fretta e soprattutto ottenendo il massimo senza bussare alle porte di politici e sindacalisti come fece Air France — bruciandosi le dita — sette anni fa.
Ieri lo stesso Hogan si è lasciato andare a qualche “confidenza” sullo stato della trattativa: la compagnia di Abu Dhabi ha «consegnato l’esame dei conti al consiglio di amministrazione ora guarda ai termini commerciali» ha detto l’ad, «il mandato ricevuto dagli azionisti è chiaro: se riusciremo a raggiungere un accordo che soddisfi i requisiti allora torneremo al cda e glielo presenteremo». Insomma il dialogo è ancora in corso.
Solo che le castagne dal fuoco dovranno toglierle i massimi livelli del sindacato nazionale, l’ad di Alitalia Gabriele Del Torchio e Matteo Renzi, non certo gli emiri. Questo al netto dell’Unione europea che, come ricorda il presidente dell’Enac Vito Riggio, «bene ha fatto a chiarire che ci sono norme sulla proprietà delle compagnie da rispettare».
E sul cielo sopra Fiumicino cominciano ad accumularsi per l’ennesima volta, nuvole scure, portatrici di turbolenze che i sindacati cominciano a percepire. «A questo punto l’azienda deve convocarci. E subito», dice con rabbia Marco Veneziani della Uiltrasporti.
IL RETROSCENA
ROMA. Il “lavoro sporco”, se con questo si intendono i sacrifici ulteriori cui saranno sottoposti i lavoratori della ex compagnia di bandiera, o la richiesta di trasformare in azioni buona parte dei debiti accumulati con le banche, non lo faranno di certo gli emiri. La rincorsa per arrivare ad un accordo soddisfacente con i sindacati è di nuovo affare dell’amministratore delegato di Alitalia Gabriele Del Torchio, già artefice della ricapitalizzazione del vettore e dell’ingresso di nuovi soci.
Molti nei corridoi dell’azienda a Fiumicino, si chiedono il perché di questo improvviso ralentinel dialogo tra le compagnie dopo giorni trascorsi nell’attesa di un annuncio ufficiale, quasi temendo un passo indietro del vettore di Abu Dhabi.
I primi a mostrare nervi tesi sono proprio i dipendenti. Roma e la provincia sono il bacino che si nutre di Alitalia e che da il mangiare ad almeno 20mila famiglie compreso l’indotto. Comprensibile il nervosismo di alcuni di loro nel rivedere il film “girato” nel 2008 da Air France che mollò improvvisamente la presa voltando le spalle ad una trattativa che per molti, era già segnata in positivo. Allora finì nel peggiore dei modi: Air France se ne andò lasciando nell’incertezza migliaia di persone e poco dopo il vettore fallì. Oggi quel film scorre nelle teste dei 12.500 lavoratori di Alitalia che secondo le notizie delle ultime ore potrebbero ridursi nel giro di qualche settimana a meno di 10mila secondo la linea di tagli dettata, ufficiosamente, da Abu Dhabi.
La compagnia del Golfo sta tirando il freno a mano per evitare sorprese e qualche sgambetto in Italia, che non brilla certo per l’immagine di Paese trasparente e pronto ad accogliere investitori stranieri. Etihad non vuol fare quel lavoro sporco. Non intende sedersi al tavolo con le parti sociali, uno degli incubi peggiori per James Hogan, australiano, amministratore delegato della compagnia.
Trattare col sindacato italiano, dicono, lo angoscia. E non mancano le indiscrezioni sui modi abbastanza “spicci” dei dirigenti del gruppo arabo che si sarebbero stupiti, nei primi giorni trascorsi nel nostro Paese, dell’impossibilità di poter “mandare a casa” i dipendenti non graditi o quelli a bassa produttività. «In Italia non funziona così», gli è stato gentilmente spiegato.
Sono questi i fantasmi che agitano la trattativa tra le due compagnie nonostante da giorni si attenda l’arrivo della “lettera di intenti” che impegna Alitalia e Etihad a sedersi attorno ad un tavolo per chiudere l’accordo entro fine giugno. Fonti vicine al dossier, che si è arricchito della consulenza di intermediari, advisor e avvocati a vari livelli, sono certe che una lettera è pronta per essere recapitata “ufficialmente” nell’ufficio di Del Torchio, anche se tutti sanno che le condizioni sono già state scritte e sono a conoscenza del governo e dell’azienda.
Quel documento potrebbe davvero arrivare entro il prossimo fine settimana, qualcuno spera anche prima, tanto per raffreddare il nervosismo dei dipendenti e i dubbi del sindacato che scalpita.


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