Ucraina l’accordo della speranza “Disarmiamo i ribelli”

Ucraina l’accordo della speranza “Disarmiamo i ribelli”

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CIASCUNO faccia un passo indietro, prima di finire tutti insieme nell’abisso. Ecco il senso dell’accordo raggiunto ieri a Ginevra dai capi delle diplomazie russa e americana per evitare in extremis la guerra civile in Ucraina. Presenti anche il primo ministro del governo provvisorio di Kiev, oggetto più che soggetto della mediazione, e la baronessa Ashton, a nome di quei comprimari europei che un mese e mezzo fa avevano patrocinato un accordo fra le fazioni ucraine subito rigettato dai rivoluzionari di Majdan. Andrà meglio stavolta? Ci sono alcune ragioni per sperare e almeno altrettante per dubitare.
La speranza sta nel fatto che per la prima volta tutte le parti in causa si proclamano d’accordo per avviare la “de-escalation”. In termini concreti: le milizie separatiste russe o filorusse che hanno occupato edifici pubblici e installazioni militari nell’Est e nel Sud del paese devono sgombrare, venendo automaticamente amnistiate; tutte le milizie devono essere disarmate, incluse quelle allestite dalle formazioni ultranazionaliste ucraine, decisive nella liquidazione del regime di Yanukovich.
È NECESSARIO riformare la costituzione per garantire la massima autonomia alle regioni a forte insediamento russo; una missione dell’Osce veglierà sull’avvio del processo di pacificazione e stabilizzazione.
Il dubbio deriva dalla volontà e dalla capacità delle forze in campo di realizzare un programma tanto ambizioso in un contesto così volatile. Lo Stato ucraino è in decomposizione. E non solo perché la Russia ha annesso la Crimea e Sebastopoli. Fatto è che il governo di Kiev è troppo debole per affermare la sua autorità anche su quelle vaste aree dell’Ucraina orientale e meridionale a forte insediamento russo, nelle quali la propaganda e le operazioni coperte di Putin si sono rivelate alquanto efficaci. Il tutto sullo sfondo di un paese sull’orlo del collasso economico e finanziario, nel quale tuttavia gli oligarchi continuano a detenere l’influenza determinante, con
grande scorno del “popolo di Majdan”.
L’intesa di Ginevra aprirà la strada alla pacificazione o sarà ricordato come una nota a piè di pagina nella guerra civile ucraina, esito inevitabile dello scontro attuale se la “de-escalation” non funzionerà? Non bisogna sopravvalutare l’importanza degli attori più o meno esterni — russi e americani, con gli europei di contorno, in ordine sparso. Una volta partita la valanga delle provocazioni e delle reazioni, i “protettori” delle fazioni in conflitto possono poco. Spetterà agli ucraini decidere la sorte del loro paese. Di fatto, nessuno oggi è in grado di disarmare le milizie. Il paese è fra i massimi produttori di armi al mondo e vi circolano almeno quattro milioni di kalashnikov. Nel caos è più facile armarsi che disarmare il prossimo.
Questa crisi conferma e accentua la precarietà della repubblica ucraina, sorta nel 1991 grazie al collasso dell’Unione Sovietica. Dalla disintegrazione sono nate, insieme all’Ucraina, diverse repubbliche più o meno precarie, segnate dallo stigma della provvisorietà, pressate dai nazionalismi etnici d’impronta razzista e dal revanscismo grande-russo. Colpisce il fatto che mentre Lavrov e Kerry stavano trattando il documento di Ginevra, Putin enunciasse il progetto di riportare sotto la sfera d’influenza moscovita Kharkiv, Lugansk, Odessa, Donetsk. Per Kiev, purissima Ucraina. Per Mosca, “Nuova Russia”, nella definizione zarista rispolverata dal presidente russo. La strada del compromesso, che sancisca l’unità e la neutralità dell’Ucraina indipendente come ponte fra Europa e Russia, resta lunga. Il tempo per impedire che il convoglio deragli è sempre più breve.


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