La Libia è in fiamme Occidentali in fuga

La Libia è in fiamme Occidentali in fuga

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Ormai è fuga di massa dalla Libia squassata dalla guerra tra milizie diventata caos generalizzato. E’ il «si salvi chi può» tra i cittadini libici che hanno i mezzi per partire e sul passaporto il visto per un altro Paese. Ma è soprattutto partenza collettiva per gli stranieri. Una partenza resa ancora più difficile dal blocco degli aeroporti, soprattutto i due principali: quello di Bengasi è fermo da almeno tre mesi e quello di Tripoli è stato letteralmente ridotto in macerie segnate dalle carcasse carbonizzate degli aerei a causa dei feroci combattimenti che lo hanno investito nelle ultime due settimane. Fonti ospedaliere locali segnalano 150 morti in sette giorni, la maggioranza tra Bengasi e Tripoli. Ieri nel capoluogo della Cirenaica le vittime sarebbero state almeno 38, un’altra trentina nella capitale e tra loro almeno una ventina di lavoratori egiziani.
La situazione si è fatta talmente grave che diverse rappresentanze diplomatiche straniere sono state chiuse. Il passo era già stato compiuto dalla grande maggioranza delle ambasciate arabe. Da due giorni ha chiuso anche quella americana. Il suo personale si è trasferito in Tunisia. Lo stesso fanno ora quella tedesca, olandese, austriaca e turca. I francesi riducono il personale e trasferiscono quello rimasto all’hotel Radisson. Resta invece totalmente aperta la rappresentanza italiana. «Siamo pienamente operativi a tutela della comunità italiana», ci ha detto per telefono l’ambasciatore Giuseppe Buccino. Da circa un mese tuttavia dalla Farnesina si è lavorato per far partire il massimo numero di connazionali. Non se ne vanno i circa 700 italo-libici, ma la grande maggioranza restò nel Paese anche nei lunghi mesi del 2011 che portarono alla morte del colonnello Gheddafi e alla fine del suo regime. Si sono però lasciati convincere a tornare in Italia i numerosi imprenditori e uomini d’affari che operano nel Paese. Oltre 100 sono partiti. Per loro sono stati organizzati almeno quattro convogli scortati, che da Tripoli si sono recati al confine con la Tunisia transitando per la strada costiera, previo contatto con le milizie tribali locali. Ieri un convoglio inglese è stato attaccato su quella stessa strada, ma non sono registrate vittime. La Farnesina ha inoltre organizzato giovedì e ieri mattina due C130 dell’Aeronautica Militare che hanno fatto scalo a Maitiga, l’aeroporto militare di Tripoli controllato dalla milizia islamica del quartiere di Souq al Jummah.
All’origine della vampata di violenza degli ultimi tempi stanno diversi fattori. Il principale resta l’incapacità dei governi che si sono susseguiti dopo la caduta di Gheddafi di assorbire le centinaia di milizie che lacerano la vita civile del Paese. A questo si aggiunge ora lo scontro crescente tra parti moderate «laiche» e milizie legate al fronte islamico sempre più condizionato dai gruppi più radicali. A Bengasi è guerra aperta tra i vecchi quadri dell’esercito fedeli all’ex generale settantenne Khalifa Haftar e islamici guidati in particolare dalla milizia qaedista Ansar Al Sharia. Quest’ultima è tra l’altro accusata da Washington di essere responsabile della morte dell’ambasciatore americano Chris Stevens l’11 settembre 2012 a Bengasi assieme a quattro connazionali. In un primo tempo era sembrato che Haftar potesse rapidamente avere la meglio. Ma ultimamente il centro di Bengasi vede una feroce resistenza da parte degli islamici. A Tripoli la situazione è degenerata quando la milizia islamica di Misurata ha cercato di conquistare l’aeroporto internazionale, che dall’agosto 2011 è presidiato dai miliziani di Zintan. Anche nelle ultime ore sono segnalate decine di civili rimasti vittime nelle loro case nelle vicinanze dello scalo.
Lorenzo Cremonesi



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