Armi, inferno d’America Bambina di nove anni uccide l’istruttore al poligono del fast-food

Armi, inferno d’America Bambina di nove anni uccide l’istruttore al poligono del fast-food

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WASHINGTON. UN HAMBURGER con il formaggio e un colpo in testa, grazie. Servizio completo, lunedì scorso al ristorante Bullets and Burgers, proiettili e hamburger, nel Nevada, dove una bambina di nove anni ha perso il controllo dell’Uzi con il quale giocava e ha fatto secco l’istruttore con un colpo accidentale in testa. Fast food e Fast Death a Las Vegas. Morte rapida con ketchup e 9 millimetri.
Ma in fondo niente più di una “breve in cronaca” nel diario quotidiano della strage dei devoti delle armi da fuoco, la setta sicuramente più micidiale di tutte quelle che popolano l’orizzonte americano. E se guardiamo le sequenze finali della vita di Charles Vacca, l’istruttore trentanovenne ucciso dalla ragazzina con il mitra, girate con lo smartphone dal padre orgoglioso, vediamo che nel rapporto fra Charles e colei che l’avrebbe inchiodato c’è molto più del rapporto fra un esperto e un’allieva, come fra un maestro di sci e un bambino alle prese con lo spazzaneve. Qui si insegna a usare uno strumento concepito, costruito e venduto per non fare altro che uccidere. E si fa proselitismo.
Charles Vacca, veterano della US Army, reduce dall’Iraq, predicatore del diritto a possedere armi da fuoco come indica quel che resta della sua accaldata pagina Facebook piena di manifesti bellicosi pro gun, non spiega alla ragazzina esile con la coda di cavallo e i calzoncini rosa corti come usare la mitica “machine pistole” inventata quasi 70 anni or sono dal maggiore Uziel Gal. Non spiega, quanto invece appunto predichi, con la pazienza e la dedizione dell’apostolato verso i fanciulli, che sono il futuro della congregazione a mano armata.
Le indica dove sistemare le manine ancora esili, come reggere quella versione dell’Uzi, la più leggera fra quelle prodotte ma pur sempre un gingillo che pesa un paio di chili, come sparare, ecco, brava, prima un colpo solo alla volta, bang! bene, un proiettile che vola a 400 metri al secondo verso il bersaglio distante 100 metri nella fossa del poligono del Bullets and Burgers a nord di Vegas. È contento di lei, Charles Vacca e la promuove al corso successivo, quello più divertente, perché l’Uzi è un mitra ed esiste per sparare a raffica.
Charles posiziona la ragazzina, le fa piegare le ginocchia — guai a stare rigidi — ma commette l’errore di non tenere le proprie mani su quelle di lei attorno all’arma. Ok. Spara! Lei spara e il rinculo impazzito della raffica la sorprende, le fa perdere il controllo dell’Uzi, come un giardiniere che innaffiasse un cespuglio e fosse sorpreso dalle pressione inattesa e violenta dell’acqua. Lancia un grido di sorpresa, lei, l’Uzi s’impenna, spruzza il suo getto verso l’alto e una goccia di piombo perfora la testa di Charles Vacca. Morirà in un ospedale di Las Vegas, 24 ore dopo.
Niente di illegale, niente di nuovo. Il poligono degli hamburger e dei mitra è perfettamente legittimo e autorizzato. I bambini, dagli otto anni in su, sono ammessi, come in tutti gli altri “tiro a segno”, Luna Park con armi vere che punteggiano il deserto attorno a Las Vegas e a Reno. Il catechista era qualificato. Il consenso dei genitori, turisti venuti dalla costa dell’Atlantico, era stato dato ed erano stati loro a incoraggiare la figlia ad addestrarsi all’uso di armi da guerra come l’Uzi, «per futura difesa personale », conferma Jim McCabe, lo sceriffo della Contea di Mojave dove la bambina ha fatto secco il reduce. Come se le ragazze potessero poi andare in giro con un Uzi in borsetta per rintuzzare attacchi e molestatori.
Eppure il mito letale dell’autodifesa persiste e converte sempre nuovi fedeli, nel proselitismo incessante e ben finanziato dai fabbricanti, nonostante gli episodi di vittime che respingano assalitori arma alla mano siano, nella più benevola delle ipotesi, rarissimi e le morti accidentali o le stragi dei folli, da Columbine a Virginia Tech all’Elementare di Sandy Hook, siano cronaca quotidiana. Già nel 2008, nel Massachusetts, Chris Bizijl uccise se stesso provando un altro Uzi. Chris aveva 8 anni e il mitra gli era stato regalato per Natale dal padre, un medico specialista in medicina d’urgenza.
A questo punto del pezzo, il diligente cronista dovrebbe snocciolare le solite statistiche e le cifre che provano, oltre ogni ragionevole dubbio, che le armi da fuoco in mani private non servono a nulla, se non a uccidere, nella grandissima maggioranza dei casi, chi le ha comperate, i loro bambini, i passanti o innocenti che nessuna minaccia ponevano al portatore. Si dovrebbe anche aggiungere che la brutalità, la rapidità con la quale troppi agenti di polizia abbattono giovani colpevoli di nulla come Michael Brown a Ferguson nascondono il timore che ogni persona fermata anche per la più banale infrazione stradale, nasconda una pistola sotto la maglia o nel cruscotto. Un poliziotto deve dare per scontato che chiunque possa portare con sé o su di sé, un’arma. Ma le statistiche, come i sermoni ipocriti dei leader politici, terrorizzati dalla potenza di fuoco elettorale della Congregazione delle Sante Armi, non servono a niente. Si accendono e si spengono come i lumini portati nelle processioni salmodianti per i caduti nella guerra che l’America conduce contro se stessa, dove anche un reduce sopravvissuto alle guerre nel deserto iracheno cade sotto i colpi di una bambina di nove anni nel deserto del Nevada.


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