I droni americani già nei cieli siriani

I droni americani già nei cieli siriani

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WASHINGTON — Il Pentagono ha dovuto spostare droni da altri scacchieri. Velivoli che erano in Europa e in Nord Africa voleranno (da subito) sui cieli siriani a caccia di obiettivi: mezzi e basi dell’Isis.
L’ordine del presidente è arrivato e autorizza missioni di ricognizione, ultimo passo prima dello strike, l’attacco.
L’operazione Siria ha avuto un’accelerazione con il rientro dalle vacanze di Obama. Lo stato maggiore ha mostrato mappe, grafici, foto satellitari alla Casa Bianca e allertato una macchina che «gira» da tempo. La versione ufficiale sostiene che l’intelligence non ha ancora una «fotografia precisa» dei bersagli. Un conto è colpire una camionetta, altra cosa individuare i capi dell’Isis, mimetizzati in mezzo ai civili. In realtà gli Usa dovrebbero già avere una parte delle informazioni, però è probabile che vogliano procedere con cautela. Per diverse ragioni. La Siria non è l’Iraq. È un avversario e sul terreno muovono molte più pedine. Inoltre deve essere perfezionato un sistema che permetta di identificare con sicurezza i bersagli.
Il piano elaborato dalla difesa Usa si sviluppa dunque lungo linee diverse. La prima riguarda i mezzi da impiegare: sono stati mobilitati gli aerei spia U2, gli eterni Dragon Lady. Quindi i droni Global Hawk, gli RQ 170 Sentinel e quelli più piccoli, armati di missili Hellfire e bombe. Partiranno da basi in Turchia, Emirati, Kuwait e Qatar. I caccia decolleranno dalla portaerei Bush. I velivoli guarderanno in basso con i loro sistemi sofisticati incrociando la «raccolta» fatta dai satelliti spia. La Cia sfrutterà poi le fonti «umane». Un aspetto sul quale gli esperti sono divisi: c’è chi dice che l’intelligence ne abbia poche. Altri la pensano diversamente e sostengono che sia possibile trovare appoggi nella resistenza anti Assad. E questo porta alla seconda linea di intervento.
Il presidente ha chiesto al Congresso altri 500 milioni di dollari per finanziare un nuovo programma di riarmo in favore di alcune formazioni ribelli siriane. Esperti spingono perché questo programma sia ampliato fino a formare un vero esercito d’opposizione. Mossa che è già stata tentata con risultati poco incoraggianti. E quanto sta avvenendo in Libia in questi giorni è un ammonimento forte: evitiamo di foraggiare il cavallo sbagliato.
Gli osservatori ribattono con l’affermazione, sempre valida, che «se non usi soldati non potrai mai battere l’Isis». E mentre in Iraq gli Usa possono contare — con riserva — su curdi e governativi, in Siria devono scommettere su parte degli insorti. Una discussione che apre un tema legato: il rapporto con il regime. Damasco si è offerta di collaborare contro l’Isis e ieri i Mig lealisti hanno condotto molte incursioni contro le posizioni del movimento. Washington ha escluso qualsiasi cooperazione diretta o attraverso intermediari, precisazione che suona come risposta a nuove indiscrezioni. Gli Usa avrebbero passato ai siriani informazioni di intelligence usando canali «iracheni e russi». Sentieri tortuosi e a volte incredibili. Ma che sono inevitabili per quanti si addentrano nella «giungla» mediorientale.
Sullo sfondo restano le storie di terrorismo. L’Isis avrebbe chiesto un riscatto di oltre 6 milioni di dollari in cambio di una cooperante americana sequestrata un anno fa in Siria. Inoltre i terroristi hanno ribadito di voler il rilascio di Aafia Siddiqui, nota anche come «Lady Qaeda», militante detenuta in Texas. È probabile che l’ostaggio — una ragazza di 26 anni — si trovi insieme al giornalista mostrato nel video dell’esecuzione di James Foley.
Drammi che si sovrappongono alle scelte di altri americani. La rete Nbc ha rivelato il nome di un estremista statunitense di 33 anni morto in combattimento. Douglas McCain, afroamericano cresciuto a Minneapolis e poi trasferitosi a San Diego, appassionato di basket e musica rap, si era unito ai guerriglieri dell’Isis. Lo raccontano come un ragazzo tranquillo, con poca passione per la politica. Invece ha sorpreso tutti allineandosi con il Califfo. E non è l’unico.

Guido Olimpio


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