Il papa ripudia la guerra, ma la cerimonia è militarizzata

Il papa ripudia la guerra, ma la cerimonia è militarizzata

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C’è una sequenza che rende chiara l’ambivalenza della visita del papa al sacra­rio mili­tare di Redi­pu­glia, ieri, nel cen­te­na­rio dell’inizio della prima guerra mon­diale. Durante l’omelia Fran­ce­sco ripete che «la guerra è una fol­lia», facendo risuo­nare le parole di Gio­vanni XXIII nella Pacem in ter­ris: «Alie­num a ratione», “roba da matti”. Pochi minuti dopo, durante l’offertorio, la mini­stra della Difesa Roberta Pinotti con­se­gna a Ber­go­glio un altare da guerra usato dai cap­pel­lani mili­tari durante il con­flitto, l’oggetto che più di tutti rap­pre­senta la legit­ti­ma­zione reli­giosa del con­flitto — una messa in trin­cea e poi via all’assalto del nemico — gra­zie al ruolo dei preti-soldato, inviati al fronte su richie­sta del gene­rale Cadorna che aveva biso­gno di chi soste­nesse spi­ri­tual­mente i sol­dati, con­tri­buendo così a man­te­nere salda l’obbedienza e la disci­plina della truppa.

È tutta qui la con­trad­di­zione tra le parole paci­fi­ste del papa e il con­te­sto di una ceri­mo­nia for­te­mente mili­ta­riz­zata dalla gestione dell’ordinariato castrense — su 10mila fedeli par­te­ci­panti, 7.500 erano mili­tari -, non­ché l’ossimoro di una Chiesa mili­tare, il cui capo, l’arcivescovo Mar­cianò, che cele­bra la messa con Ber­go­glio, è anche gene­rale di corpo d’armata, e i cui preti sono incar­di­nati con i gradi (e lo sti­pen­dio pagato dallo Stato) nelle Forze armate.

Atter­rato di buon mat­tino all’aeroporto di Ron­chi dei Legio­nari, accolto dalla mini­stra Pinotti e dalla pre­si­dente della Regione Friuli Vene­zia Giu­lia Ser­rac­chiani, Fran­ce­sco si reca al cimi­tero austro-ungarico di Fogliano, dove sono sepolti 15mila sol­dati (oltre 12mila senza nome). Una breve pre­ghiera, poi il tra­sfe­ri­mento a Redi­pu­glia, nel sacra­rio voluto da Mus­so­lini per esal­tare e fasci­stiz­zare la memo­ria della prima guerra mon­diale e inau­gu­rato il 18 set­tem­bre 1938, giorno della pro­cla­ma­zione, a Trie­ste, delle leggi razziali.

«La guerra è una fol­lia», esor­di­sce Ber­go­glio. «Men­tre Dio porta avanti la sua crea­zione, e noi uomini siamo chia­mati a col­la­bo­rare alla sua opera, la guerra distrugge, anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra è folle, il suo piano di svi­luppo è la distru­zione». Le cause dei con­flitti secondo il papa: «Cupi­di­gia, intol­le­ranza, ambi­zione al potere», «spesso giu­sti­fi­cati da un’ideologia». E se non c’è l’ideologia, «c’è la rispo­sta di Caino: a me che importa? Sono forse io il custode di mio fra­tello?». L’espressione si può tra­durre con il motto fasci­sta «Me ne frego», per rie­qui­li­brare l’ossessivo «Pre­sente» fatto scol­pire sui 22 gra­doni del sacra­rio che ospita oltre 100mila morti (60mila ignoti) per­ché il regime mus­so­li­niano si appro­priasse dei caduti della guerra, tra­sfor­man­doli in «mar­tiri fasci­sti». Ber­go­glio ripete quello che già aveva detto ad ago­sto sull’aereo tor­nando da Seoul: anche oggi «si può par­lare di una terza guerra mon­diale com­bat­tuta “a pezzi”, con cri­mini, mas­sa­cri, distru­zioni». Tutto ciò è pos­si­bile, pro­se­gue, per­ché «ci sono inte­ressi, piani geo­po­li­tici, avi­dità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sem­bra essere tanto impor­tante. E que­sti pia­ni­fi­ca­tori del ter­rore, que­sti orga­niz­za­tori dello scon­tro, come pure gli impren­di­tori delle armi, hanno scritto nel cuore: a me che importa?».

Al ter­mine viene letta una pre­ghiera per le vit­time di tutte le guerre, e Ber­go­glio con­se­gna ai vescovi pre­senti — fra cui i car­di­nali di Vienna e di Zaga­bria Schön­born e Boza­nic — una lam­pada rea­liz­zata dai fran­ce­scani di Assisi e ali­men­tata con l’olio di Libera da accen­dere nelle loro dio­cesi durante le com­me­mo­ra­zioni della guerra. Nes­suna parola per gli obiet­tori e i diser­tori, veri eroi della guerra, come chie­deva un gruppo di preti del Nor­dest. Uno di loro, Andrea Bel­la­vite, com­menta: «Ome­lia forte nei toni, un po’ meno nei con­te­nuti, troppo gene­rici. Il papa ha denun­ciato la guerra e il mer­cato delle armi. Forse però avrebbe potuto dire qual­cosa anche a chi quelle armi le usa, i sol­dati, visto che erano pre­senti alla messa, e porre qual­che inter­ro­ga­tivo sul senso delle Forze armate».



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