Svezia, vince la sinistra Ma è boom degli xenofobi

Svezia, vince la sinistra Ma è boom degli xenofobi

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STOCCOLMA — A mezzanotte in punto Stefan Lofven sale sul palco allestito nella sede del partito socialdemocratico. In mano ha una rosa rossa e una vittoria parziale nelle elezioni politiche. Ha ottenuto il primo posto, con il 31,2%, ma non ha una maggioranza: sommando anche i voti dei Verdi (6,8%) e della Sinistra (5,7%) arriva al 43,7%. Inutile il 3,1% raccolto da Iniziativa femminista che resta sotto la soglia del 4% e quindi non entra nel Parlamento. La Svezia, dunque, questa mattina si sveglia senza un governo. Il primo ministro Fredrik Reinfeldt si è dimesso mezz’ora prima che parlasse il suo rivale, lasciando anche la guida del partito moderato, sconfitto con il 23,2%, contro il 30,6% ottenuto nel 2010 e il 26,23% del 2006. La coalizione di centrodestra si ferma al 39,1%.
Eppure il dato più grave per i due avversari è un altro: la quota decisiva è finita nelle mani del 35enne Jimmie Akesson, la promessa mantenuta di queste consultazioni. La sua formazione estremista e xenofoba, Svedesi democratici, era data in grande crescita dai sondaggi. Sensazione confermata dalle urne: percentuale più che raddoppiata rispetto al 2010: dal 5,7 al 12,9%, ovvero la terza posizione alle spalle dei socialdemocratici e dei moderati.
L’exploit di Akesson conferma come il messaggio populista sia ormai radicato ovunque e come il modello costruito in Francia da Marine Le Pen possa essere replicato in Paesi con storie e tradizioni diverse. Appare molto improbabile, però, che gli Svedesi democratici siano adesso in grado di rinunciare all’elmo chiodato dei vichinghi (il loro simbolo elettorale) per proporsi come forza di governo. Nella notte Akesson si è proclamato «l’ago della bilancia della politica svedese». Ma nessuno pare disposto a imbarcarli in un’alleanza. Certo non il socialdemocratico Lofven, ma neanche il moderato Reinfeldt che ha aperto la campagna elettorale invitando gli svedesi «a non chiudere il cuore e le porte agli immigrati».
Alla fine, però, il premier uscente smarrisce nella deriva populista più schede di quelle che aveva previsto. Adesso la logica della politica suggerisce solo due possibili soluzioni. La prima: un governo di minoranza guidato dall’ex sindacalista Lofven e appoggiato con un meccanismo di «non sfiducia» dalla coalizione di centro-destra o da suoi spezzoni. La seconda: un esecutivo di larghe intese a guida socialdemocratica. Già questa incertezza rappresenta un trauma, un momento di rottura della solida governabilità di cui la Svezia beneficia da 73 anni (65 anni con i socialdemocratici e gli ultimi otto con i moderati).
In realtà il dialogo tra Lofven e Reinfeldt può contare su oggettive assonanze di programma. I socialdemocratici hanno insistito sulla necessità di ridare smalto a scuola e ospedali. Per farlo occorre aumentare le tasse. Su questo punto i moderati hanno perso la sfida: in un’eventuale trattativa per la formazione del governo, dal loro punto di vista, potranno solo limitare il danno. Ma sull’altro grande tema della campagna, il contrasto alla disoccupazione, i due rivali sono oggettivamente più vicini di quanto sembri. Il tasso di disoccupazione è pari al 7,9%, un numero invidiabile per almeno una mezza dozzina di premier europei, ma che a Stoccolma è considerato inaccettabile sia per i socialdemocratici che per i moderati. Non mancano le idee e la strumentazione tecnica per raggiungere un’impostazione di compromesso.
Più complicato, invece, dare una risposta all’elettorato che si è rifugiato nel recinto anti-stranieri di Akesson. I risultati del voto indicano con chiarezza che gli Svedesi democratici hanno pescato più nel bacino conservatore, nei ceti medi impauriti o per lo meno preoccupati. Ma l’avanzata del partito socialdemocratico è debole (solo +0,4% rispetto al 2010), segno che non è riuscito a intercettare l’allarme sociale diffuso anche nelle fasce più popolari, a cominciare dai vecchi quartieri operai delle grandi città.
Il problema è che il flusso di immigrati non si fermerà. La Svezia conta 9,5 milioni di abitanti, gli stranieri sono già più di un milione: secondo le stime quest’anno ne arriveranno altri 84 mila, calcolando solo le richieste di asilo. Lo Stato stanzia per l’accoglienza l’1% del bilancio, pari a circa 1 miliardo di euro. Il 12,9% dei votanti considera esagerate queste spese. Non sarà facile convincerlo del contrario, qualunque sia il governo che prenderà in mano la Svezia.
Giuseppe Sarcina



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