Viaggio lungo il confine invisibile dove comincia il sogno scozzese

Viaggio lungo il confine invisibile dove comincia il sogno scozzese

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GRETNA (Scozia) — «E’ venuto per sposarsi? No? Peccato. Perché dal 18 settembre, se vincono i sì, temo che nessuno verrà più a pronunciare i sì che contano per noi — dice la signora Fiona del Solway Lodge con un sorriso amaro — tanto meno gli inglesi. Se la Scozia diventa indipendente, questa sarà una città fantasma». Gretna Green, in fondo a un golfo sul mare d’Irlanda sopra Carlisle, è la capitale britannica dei matrimoni. «Per molto tempo, credo fino agli Anni 40 — racconta Fiona — i ragazzi attraversavano il confine perché in Scozia l’età legale per le nozze era 16 anni e non 21 come in Inghilterra. Poi l’età si è abbassata dovunque ma la tradizione è rimasta. Ma se ci stacchiamo, con tutte le incertezze sulla moneta e la rabbia per il divorzio, molte cose cambieranno e in peggio: soprattutto nelle zone di confine».
Quale confine? In 307 anni (nozze a parte) la frontiera tra Scozia e il resto del Regno Unito è diventata pressoché invisibile. Seguendola da Ovest a Est, da mare a mare per un centinaio di miglia fino a questa piccola Las Vegas di aiuole e matrimoni in hotel, sembra impossibile che dopodomani potrebbero risvegliarsi Paesi stranieri. «Lo sa che noi abbiamo cambiato campo almeno tredici volte nella storia — dice il signor Harper davanti a un bancomat di Berwick-upon-Tweed —. Siamo abituati. Però l’idea di rompere l’Unione è una cosa da pazzi». Berwick, sul mare del Nord, è la più settentrionale delle città inglesi. E’ passata dagli scozzesi ai re d’Inghilterra in continuazione. Qui una mano mozzata di William Wallace Braveheart fu esposta nel 1305 come monito (inascoltato) per future ribellioni. A un’ora d’auto da Edimburgo, il confine passa inosservato a quattro chilometri dal borgo fortificato sull’estuario del Tweed, il fiume che ha dato il nome al tessuto. Il signor Harper ha un vestito che è un programma politico: un completo alla Sherlock Holmes. La bancaria allo sportello della Royal Bank of Scotland invece rifiuta di pronunciarsi: è vero che ci sono scozzesi che hanno già portato i soldi da questa parte? No comment. «Sì sì, lo so per certo», dice Sherlock Harper. Per strada John Carlyle, infermiere in pensione, dice che semmai dovrebbe essere l’Inghilterra a secedere: «Noi dobbiamo pagarci il dentista e l’università, mentre loro ce l’hanno gratis perché siamo noi a metterci i quattrini».
Due ragazzini giocano a pallone nel prato davanti allo stadio dei Rangers di Berwick. «Noi problemi non ne abbiamo — ridacchiano — .Tanto i Rangers giocano già nel campionato scozzese». La sede della squadra è chiusa. Le mura (in «stile italiano») volute da Elisabetta I sono intatte. Il confine lo fa per un bel pezzo il lento Tweed. Risalendo il fiume il primo ponte per la Scozia si chiama Union Bridge. Quando fu costruito nel 1820 era il più grande ponte sospeso del mondo. Le pecore sulla riva inglese e le mucche sul lato opposto si fronteggiano placide. Una coppia di ciclisti, lui dice: «Gli scozzesi ci odiano un po’. Ma io sono per un quarto scozzese e quel quarto vive in pace con gli altri tre». La prima grande casa oltre il ponte ha le bandierine dell’Union Jack. Il primo villaggio, Paxton, è in maggioranza per il no racconta John, ex colonnello dell’esercito (che non vuole dire il suo cognome): «Per quattro generazioni la mia famiglia ha combattuto per l’Impero e poi per il Regno Unito. E adesso questo comunista indipendentista di Alex Salmond vuole dirmi che abbiamo combattuto per un branco di stranieri?».
Colline, boschetti, balle di fieno nei campi, strade bordeggiate da muri in pietra o siepi. La cittadina di Kelso, una rivendita di trattori, la signora Janine seduta in ufficio dice che voterà sì: «Vogliamo ricominciare, per troppi anni a Londra ci hanno preso in giro».
Più a sud, dove la A68 torna in Inghilterra attraversando le Border Forests, al punto panoramico con vista sulla Scozia c’è un baretto mobile e la postazione di un tizio con il kilt e la cornamusa di fianco a un mega cippo: «Voterò sì — racconta Alan Smith tra una soffiata e l’altra per i rari viaggiatori — mia moglie che è inglese voterà come me. Staremo meglio, siamo pochi in un Paese grande e pieno di risorse». La barista invece voterà no: «Mi sono sposata a 17 anni e come salto nel buio mi basta quello».
Un Paese grande (la Scozia è un terzo dell’isola chiamata Britain) dove l’unica demarcazione di confine ancora visibile è il vecchio Vallo Adriano, costruito dai romani in sei anni, giusto il tempo che servirebbe a una Scozia indipendente per rientrare nell’Unione Europea. Il muro che divideva l’Impero dai barbari, con 80 aperture fortificate, correva da mare a mare nel punto più stretto dell’isola, a sud dell’attuale confine che dal 2016 potrebbe diventare molto visibile e a suo modo «fortificato» con guardie e posti di controllo. Il Vallo scende fino al golfo di Solway. Quando attraversi il confine dietro al primo pub bianco sulla destra, c’è un’incredibile testimonianza di amore per il Regno Unito. Una montagna di pietre portate da ogni angolo della Gran Bretagna da gente comune a formare una sorta di «cairn», una costruzione tipica dell’Inghilterra del Nord e della Scozia fin dal Neolitico.
L’idea è di Rory Stewart, deputato e presidente della commissione Difesa in Parlamento, intellettuale viaggiatore che ha attraversato a piedi l’Afghanistan nel 2002. «Un modo per dire sì al legame profondo che ci unisce, più che la voglia di mettere una pietra sopra a questo referendum» dice davanti a una piramide di ventimila sassi colorati con scritte pro unità. Anche domani Rory sarà qui, a ricevere gente che porta pietre come testimonianze d’amore oltre il confine di Gretna Green, la capitale (impaurita) dei matrimoni.
Michele Farina



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