Ast. Il governo in carica. Contro gli operai

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Man­ga­nelli con­tro ope­rai e sin­da­ca­li­sti che cer­cano di difen­dere la sto­ria indu­striale ita­liana. Tre ver­tenze che si acca­val­lano sotto il mini­stero dello Svi­luppo con i lavo­ra­tori che si mischiano nella dispe­ra­zione, nella paura, nella rab­bia. Oltre gli slo­gan di Renzi, la realtà del paese è quella in carne e ossa del migliaio di ope­rai tran­si­tati ieri per il cen­tro di Roma.

I cin­que­cento delle Ast di Terni che arri­vano in pull­man dal pre­si­dio e dallo scio­pero a oltranza che va avanti da otto giorni. Alle undici vanno a pro­te­stare sotto l’ambasciata tede­sca, l’idea è quella di chie­dere un inter­vento diplo­ma­tico per fare pres­sione diret­ta­mente sulla Thys­sen­Krupp di Essen, pro­prie­ta­ria con­tro­vo­glia delle Accia­ie­rie spe­ciali di Terni.

Una dele­ga­zione viene rice­vuta, ne fa parte anche Ste­fano, il dele­gato Fiom che sabato ha par­lato dal palco di piazza San Gio­vanni. «C’è l’impegno a ripor­tare le nostre ragioni alla Thys­sen», annun­cia dal mega­fono. Poi però arriva un comu­ni­cato uffi­ciale dell’ambasciata. Strin­ga­tis­simo e assai gene­rico. La rab­bia degli ope­rai sale. Tutti insieme i dele­gati di Fim, Fiom, Uilm deci­dono di andare sotto il vicino mini­stero dello Svi­luppo per chie­dere garan­zie dal governo e capire come pensa di far cam­biare idea a una pro­prietà che sem­bra aver già deciso per la dismis­sione delle accia­ie­rie fon­date nel 1884.

La piazza è cir­con­data su tutti i lati dalle forze dell’ordine in uno spie­ga­mento già esa­ge­rato per poche cen­ti­naia di lavo­ra­tori. I sin­da­ca­li­sti si accin­gono a chie­dere ai poli­ziotti di poter scen­dere verso via Veneto. È un attimo. Parte un ordine e i man­ga­nelli ini­ziano a muli­nare. Il tutto dura un minuto e mezzo. Sulla strada rimane il san­gue degli ope­rai e dei sin­da­ca­li­sti, tutti Fiom. Poi, come richie­sto, il cor­teo viene fatto pas­sare. E diviene ancora più incom­pren­si­bile l’uso della violenza.

Il reparto mobile è com­po­sto da gio­vani poli­ziotti, non dagli esperti rima­sti sotto il mini­stero per con­trol­lare i lavo­ra­tori della Jabil di Mar­cia­nise che pro­te­stano con­tro la mul­ti­na­zio­nale ame­ri­cana di com­po­nenti elet­tro­nici che ha fatto par­tire una pro­ce­dura di mobi­lità per 380 dei 600 dipen­denti campani.

Poco prima che la poli­zia cari­chi lavo­ra­tori e sin­da­ca­li­sti, Lucia Mor­selli esce rag­giante dal mini­stero dello Svi­luppo. «È andata benis­simo», dice lapi­da­ria la taglia­trice di teste che non passa giorno senza pro­vo­care i lavo­ra­tori e per­fino il pre­fetto, sput­ta­nato a mezzo stampa per un incon­tro segreto, reso pub­blico appena concluso.

Lei, l’amministratrice dele­gata chia­mata dai tede­schi per dimez­zare il costo del lavoro, a far mar­cia indie­tro dalla pro­ce­dura di licen­zia­mento col­let­tivo per 550 dipen­denti non ci pensa mini­ma­mente. Ne ha già con­vinti 140 — di cui 40 però già in mobi­lità — ad accet­tare i 60 mila euro netti per andar­sene subito. Nel frat­tempo si è pre­sen­tata in piena notte al pre­si­dio di viale Brin degli ope­rai «con l’intento chiaro di farsi menare».

Dopo aver par­lato con Mor­selli e saputo degli inci­denti, Fede­rica Guidi non può esi­mersi dal rice­vere i sin­da­ca­li­sti. L’incontro dura poco più di un’ora. È Clau­dio Cipolla, il segre­ta­rio della Fiom di Terni, a pren­dersi il com­pito non sem­plice di spie­gare agli ope­rai Ast i risul­tati dell’incontro. «Abbiamo chie­sto al mini­stro una riu­nione urgente con il mini­stero dell’Interno per accer­tare le respon­sa­bi­lità di chi que­sta mat­tina ci ha man­ga­nel­lato», esordisce.

Non meno deli­cata è la situa­zione della ver­tenza, arri­vata a uno snodo cru­ciale. «C’è l’impegno del governo a far modi­fi­care il piano indu­striale dell’azienda e di ricon­vo­carci la set­ti­mana pros­sima qua a Roma per illu­strarci le modi­fi­che. Ma noi di pro­messe siamo stan­chi e quindi con­ti­nuiamo col pre­si­dio. L’unica con­ces­sione che ci chiede l’azienda è di far entrare i tre dell’amministrazione per pagare gli sti­pendi. E noi accet­tiamo di buon grado».

Le parole di Cipolla però non sod­di­sfano i lavo­ra­tori della Ilserv, la più grande ditta in appalto che for­ni­sce la mate­ria prima all’acciaieria e che come tutte le altre deve sot­to­stare al dik­tat di Mor­selli: taglio del 20 per cento dei costi o niente lavoro. «Oggi ci scade l’appalto, se non viene rin­no­vato andiamo tutti e 340 a casa», urla un lavo­ra­tore nella folla accal­cata per ascol­tare dal mega­fono. Il com­pro­messo sarebbe quello «di rin­no­vare l’appalto di 10–20 giorni», spiega a parte Cipolla. Ma di cer­tezze non ce sono. E i lavo­ra­tori urlano e non ci stanno ad anda­re­sene a casa.

Pas­sano pochi minuti e parte il coro: «L’operaio non si tocca, l’operaio non si tocca». Lo can­tano i lavo­ra­tori della Trw di Livorno, arri­vati a dare il cam­bio a quelli di Terni, uniti anche da un gemel­lag­gio delle tifo­se­rie cal­ci­sti­che, tra le poche rima­ste di sini­stra. I dele­gati di Terni dopo un rapido accordo con Lan­dini deci­dono allora di acco­gliere la richie­sta: «Rima­niamo qui un’ora per soli­da­rietà coi livor­nesi». E da sta­mat­tina si torna a pre­si­diare viale Brin. La casa di tutta Terni.



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