Landini: “Torni l’acciaio di Stato così eviteremo di svendere le industrie agli stranieri”

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Tornare all’acciaio di Stato. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, non ha dubbi: senza intervento pubblico non si uscirà dalla crisi della siderurgia, che riguarda la ThysssenKrupp di Terni, l’Ilva di Taranto, l’ex Lucchini di Piombino. «Se non vogliamo svendere o regalare la siderurgia agli stranieri è indispensabile che lo Stato faccia la sua parte ».

Ne avete parlato con Renzi durante l’incontro dopo le manganellate agli operai di Terni?
«Sì, abbiamo posto questo problema che è il perno di qualunque strategia di politica industriale ».
E cosa vi ha risposto il presidente del Consiglio?
«Che è disponibile a un confronto».
Tornare ai tempi dell’Iri?
«Io penso che non si possa più rinunciare a un intervento pubblico nei settori strategici, com’è quello della siderurgia, finalizzato anche a definire nuovi assetti proprietari».
Vuol dire che l’Ilva, per esempio, dovrebbe essere acquistata dallo Stato?
«Per l’Ilva questo passaggio è necessario. L’Ilva deve cambiare proprietà. Per fare questo c’è bisogno della forza dello Stato».
E per l’Ast di Terni?
«Non escludo nulla. Certo a Terni è necessario innanzitutto verificare se l’azienda è disposta a rivedere il piano industriale».
Pensa di salvare l’occupazione con l’aiuto dello Stato?
«Penso di salvare l’industria italiana dove c’è un problema, oltreché di dimensioni aziendali, anche di qualità degli imprenditori. Quanto all’occupazione mi limito a far presente che nei prossimi mesi rischiano di saltare migliaia di posti di lavoro. Siamo di fronte a un’ondata di licenziamenti collettivi. Mercoledì in piazza c’erano pure gli operai della Jabil, 400 licenziamenti a Caserta, e quelli della Trw di Livorno, altri 500. Questo è quello che sta succedendo».
Anche per questo Renzi ha chiesto di abbassare i toni. La Fiom ha risposto con otto ore di sciopero a novembre. Non c’era un’altra strada?
«Lo sciopero generale non è altro che la continuazione della manifestazione di sabato. Per abbassare i toni bisognerebbe avere la possibilità di confrontarsi. Con lo sciopero chiediamo al governo di cambiare le sue politiche economiche e sociali. Ciò che ha fatto finora non è adeguato alla situazione».
Per affrontare la crisi dell’acciaieria di Terni vi ha convocati a Palazzo Chigi.Questo non era previsto. Non le pare un gesto di disponibilità al confronto? Renzi vi ha chiesto scusa per gli incidenti di mercoledì?
«No, le scuse non ci sono state. Ma non c’è dubbio che sia stato un atto importante, di rispetto nei confronti delle organizzazioni sindacali. Resta il fatto che senza un’iniziativa di politica industriale le soluzioni delle singole crisi non sono affatto semplici».
Ci aiuti a risolvere il “giallo” della telefonata tra lei e Renzi: c’è stata?
«La telefonata c’è stata».
E perché non l’ha detto subito?
«Ho detto che io avevo chiamato Delrio mentre è stato Renzi a chiamarmi».
Va bene. Senta, lei è d’accordo con la Camusso quando dice a Renzi che prima di abbassare i toni vanno abbassati a manganelli?
«Certo che sono d’accordo: quello che è successo è di una gravità senza precedenti. Le risposte che sono arrivate dal governo fanno pensare che episodi di quel genere non si ripeteranno più».
Il ministro dell’Interno Alfano ha detto che non c’è stato alcun ordine ai poliziotti di caricare i manifestanti. Lei continua a pensare il contrario?
«Io continuo a pensare che un poliziotto che va in piazza quando c’è una pacifica manifestazione di operai non si armi di scudi e manganelli se non ha avuto un ordine di quel tipo. E se esegue una carica a freddo, come è successo, vuol dire che qualcuno quell’ordine gliel’ha dato».
Sta dicendo che Alfano ha mentito?
«No, dico quello che è accaduto. Ma prendo atto degli impegni che ha preso il governo».
Lei pensa che ci sia un collegamento tra le affermazioni del finanziere Davide Serra alla Leopolda contro lo sciopero e l’aggressione agli operai?
«No, non penso a queste cose. Di certo c’è un attacco al diritto di sciopero in Italia come in Spagna, in Inghilterra e in altri paesi europei. È in atto una pressione per mettere in discussione la contrattazione collettiva. E il governo Renzi sbaglia a ispirarsi al modello Fiat o a quello degli Stati Uniti?» Dunque condivide la tesi della Camusso secondo cui il governo Renzi è stato voluto dai “poteri forti”?
«Sul piano delle politiche sociali e sindacali questo governo ha assunto il programma di Confindustria. Non c’è solo la cancellazione dell’articolo 18, c’è il demansionamento che detto in inglese vuol dire mobbing, c’è il controllo a distanza dei lavoratori, c’è l’abolizione del reintegro anche nei licenziamenti collettivi con procedure sbagliate. C’è l’obiettivo di far saltare il contratto nazionale. Questo non è accettabile».
Cosa intendeva dire mercoledì quando ha gridato: “Basta Leopolde”?
«Vuol dire basta discussioni tra chi la pensa allo stesso modo. Vuol dire basta a un modello che salta ogni mediazione e dove chi comanda parla direttamente con il popolo senza intermediazione. Questo processo porta a una riduzione degli spazi democratici».
Renzi mette a rischio la democrazia? Non è un po’ forte?
«Non dico che è a rischio la democrazia. Penso che si in questo modo si riducono gli spazi della democrazia».


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