Affluenza, l’Emilia affonda La vittoria debole di Bonaccini

Affluenza, l’Emilia affonda La vittoria debole di Bonaccini

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ROMA Si temeva, ma è andata peggio del previsto. Gli elettori hanno disertato le urne. Sei su dieci non hanno votato. Più in Emilia-Romagna che in Calabria: dove si è registrata, rispettivamente, un’affluenza del 37,67% (contro il 69,98 delle europee e il 68,13 delle precedenti regionali) e del 44,10% (contro il 45,76 delle Europee e il 59,26 delle Regionali).
Praticamente un crollo. Uno schiaffo ai partiti e non solo. Il centrosinistra non ha raggiunto con scioltezza il risultato preconizzato dal ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi: «Due a zero». Se in Calabria, dove si è votato con la nuova legge regionale favorevole alle grandi coalizioni, è balzato subito in testa nello scrutinio Mario Oliverio, che le prime proiezioni finali danno per vincitore con il 60% circa dei voti, il superfavorito dell’Emilia-Romagna, il renziano Stefano Bonaccini non ha stravinto: tallonato nei risultati dei primi scrutini dal leghista Alan Fabbri. I primi dati lo danno poco sotto il 50%, comunque avanti una quindicina di punti sull’esponente di centrodestra, mentre Giulia Gibertoni, candidata del Movimento Cinquestelle che proprio da Bologna, con il Vaffaday di Beppe Grillo iniziò la sua parabola politica, oscilla intorno al 13%.
Complessivamente però è stata una débâcle il piccolo ma significativo test politico per capire gli umori degli elettori in regioni chiave: la «rossa» Emilia, chiamata a riconoscersi con il nuovo corso renziano, dopo la bufera giudiziaria dei rimborsi gonfiati. E la Calabria, anch’essa scossa da inchieste che ne hanno decapitato i vertici amministrativi di centrodestra. Per alcuni, un sondaggio sulla tenuta di popolarità del governo. Anche se il ministro Maria Elena Boschi invita a non considerarlo tale.
La conta del risultato finale è andata avanti fino a tarda notte. In attesa del responso finale, lo scontro si è acceso proprio sulla voltata di spalle degli elettori. Con l’opposizione, interna ed esterna alla maggioranza, pronta a darne la colpa al presidente del Consiglio Matteo Renzi. «I primi dati dell’affluenza sono disarmanti — partiva subito all’attacco il dissidente pd, Pippo Civati —. Domani forse sarà più chiaro che la governabilità come unica stella, senza rappresentanza, non è solo un problema ma un vero e proprio pericolo». «Uno può essere contento o scontento, ma se rinuncia a votare, rinuncia alla democrazia» avvertiva in mattinata l’ex premier Romano Prodi. Invano. Più tardi faceva notare: «Se si andrà al di sotto del 50%, sarà un dato preoccupante».
In Calabria, si sfidavano Mario Oliverio (centrosinistra) che ha avuto la meglio su Wanda Ferro (FI e Fratelli d’Italia), secondo le prime proiezioni, ferma al 23,2%. Dietro gli altri candidati: Cono Cantelmi (M5S), il difensore di Scopelliti Nico D’Ascola (Ncd e Udc) e Domenico Gattuso (l’Altra Calabria). In Emilia-Romagna oltre a Bonaccini, Fabbri e Gibertoni, erano in corsa Alessandro Rondoni (Ncd-FI) Maurizio Mazzanti (lista civica Liberi Cittadini) e Cristina Quintavalla, (L’Altra Emilia-Romagna).
A spingere gli elettori all’astensionismo ha influito certamente la questione giudiziaria. In Emilia, dopo le dimissioni in luglio del governatore Vasco Errani, condannato in Appello per falso nella vicenda legata a un finanziamento alla coop del fratello, era ancora fresco l’eco della indagine sui rimborsi spese dei gruppi consiliari della Regione. Con i soldi pubblici sperperati persino al sexy-shop. Così Bonaccini, 47 anni, sostenuto anche da Sel, Centro democratico ed Emilia-Romagna civica, ha visto via via assottigliarsi il consenso. Ma anche in Calabria si è votato in anticipo per le dimissioni di Giuseppe Scopelliti (ex Pdl-Udc poi Ncd), giunte dopo la condanna a 6 anni per gli ammanchi al comune di Reggio Calabria, nel periodo in cui era sindaco.
E così la realtà ha superato i peggiori sondaggi. Prima dello spoglio un partito aveva già vinto: quello del «non voto».
Virginia Piccolillo


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