La doppia sfida di Obama con il Congresso

La doppia sfida di Obama con il Congresso

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NEW YORK Non è la sanatoria definitiva che aveva promesso per risolvere, una volta per tutte, il problema degli 11 milioni di immigrati clandestini che vivono negli Usa. Per una riforma del genere era necessario un accordo col Parlamento che non è mai arrivato. Ma, benché temporanea e di portata assai più limitata, la misura che Barack Obama annuncerà stasera con un messaggio televisivo alla nazione segnerà una svolta nelle politiche seguite nei confronti dei lavoratori stranieri privi di documenti. E, inevitabilmente, alimenterà un nuovo, durissimo scontro tra la Casa Bianca e un Congresso che è ormai a maggioranza repubblicana. E che ieri, con un voto a sorpresa al Senato, ha bocciato anche il provvedimento sulla limitazione della sorveglianza della Nsa, l’agenzia di «intelligence» federale, sul traffico telefonico e su Internet: una norma che aveva raccolto anche il consenso di alcuni senatori della destra.

I leader conservatori già accusano Obama di abuso di potere per la decisione sugli immigrati, ma il presidente ha preso le sue precauzioni: il provvedimento, basato sui poteri esecutivi presidenziali, è stato concepito dai legali della Casa Bianca in modo da non ledere le prerogative parlamentari. Non è, quindi, una riforma generale e permanente della materia, ma solo una sospensione temporanea delle deportazioni dei clandestini. Dunque un intervento limitato all’applicazione delle sanzioni previste dalla legge: un campo nel quale le Corti riconoscono al governo un’ampia discrezionalità.
La misura amministrativa che sta per essere emanata non avrà, poi, portata generale, ma dovrebbe applicarsi solo a circa 5 milioni di immigrati, 4 milioni dei quali individuati con criteri basati sulla durata della presenza negli Stati Uniti e sui legami familiari con persone legalmente residenti nel Paese. Non ci sarà, invece, un trattamento preferenziale per i lavoratori agricoli.
Per ridurre ulteriormente i rischi di contestazioni giudiziarie, il provvedimento dovrebbe essere presentato come una semplice estensione dell’atto amministrativo varato nel 2012 dallo stesso Obama per mettere al riparo dal rischio di arresto e rimpatrio nei Paesi d’origine i giovani figli di clandestini che sono cresciuti e hanno studiato negli Usa. Un precedente che ha un rilevante valore legale e anche politico è quello dei presidenti repubblicani, da Reagan a George Bush padre, che a suo tempo hanno varato minisanatorie simili a quella di Obama, anche se di portata più limitata.
Politicamente, insomma, il presidente dovrebbe muoversi su un terreno abbastanza solido anche perché ha dato al Parlamento tutto il tempo per agire. Domani, dopo l’annuncio alla nazione, Obama andrà a spiegare nei dettagli il suo intervento ai ragazzi del liceo Del Sol di Las Vegas. Una scelta non casuale: il Nevada è lo Stato con la più alta percentuale di lavoratori clandestini e questa è la scuola dalla quale, nel gennaio del 2013, Obama lanciò un appello al Parlamento per il varo della riforma. Per un po’ era parso che quello dell’immigrazione fosse uno dei pochi terreni sui quali democratici e repubblicani potevano mettersi d’accordo, visto che anche la destra ha interesse a recuperare il voto degli ispanici. Ma poi tutto si è bloccato per le spaccature emerse nel Partito repubblicano.
Obama dovrebbe quindi avere le spalle abbastanza coperte. L’unico problema di vulnerabilità se lo è procurato da solo quando in passato, davanti ai «latinos» che lo accusavano per la sua inerzia, si è difeso dicendo che la legge gli impediva di fare di più senza l’avallo parlamentare: «Sono un presidente, non un imperatore» disse allora. Lo slogan sulla prepotenza dell’«imperatore Obama» i repubblicani se lo trovano già fatto.
Massimo Gaggi


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