L’attesa e i preparativi al Quirinale Per il nuovo inquilino la partita dello staff

L’attesa e i preparativi al Quirinale Per il nuovo inquilino la partita dello staff

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ROMA Sono quasi un migliaio gli uomini che compongono la corte del «re della Repubblica». E sono già tutti pronti. Se davvero Sergio Mattarella sarà eletto oggi, potrebbero accoglierlo al Quirinale fin da martedì, dato che al neo-presidente serviranno almeno quarantott’ore per stendere e limare il discorso d’insediamento. Tempi stavolta prevedibilmente brevi — Napolitano fu votato per il primo mandato il 10 maggio 2006 ed entrò in carica solo il 15 — per dare un segnale al Paese, magari riducendo pure qualche aspetto della residua ritualità monarchica che ancora sopravvive in questo tipo di passaggi istituzionali. Retaggi di solennità sabauda che comunque resistono, all’insegna del principio secondo il quale la forma è sostanza.
Basta considerare come si sta preparando la liturgia laica del 3 febbraio (posto che le previsioni di ieri sera siano confermate), tenendosi fedelmente alla prassi solenne fissata dal vecchio cerimoniale.
Il presidente designato arriverà alla Camera intorno alle 10, con scorta dei carabinieri, e si rivolgerà all’Aula con un messaggio che, oltre a offrire qualche indizio sullo stile con cui interpreterà il ruolo, sarà soprattutto una sorta di manifesto programmatico del settennato. Parole che s’incroceranno con il giuramento sulla Costituzione, a partire dal quale comincerà a suonare la campanella di Montecitorio, mentre dal Gianicolo saranno sparate 21 salve di cannone.
Quando il nuovo capo dello Stato uscirà sulla piazza sarà preso in consegna da una pattuglia di corazzieri in moto, che lo guiderà all’Altare della Patria e di lì, affiancato da un reparto a cavallo e in alta uniforme, salirà al Quirinale. Qui gli saranno resi gli onori militari e incontrerà le diverse magistrature repubblicane (non meno di 400 persone), guidate da Piero Grasso, «supplente» sul Colle dalle dimissioni di Napolitano e che subito dopo tornerà al Senato.
A metà giornata il passaggio di consegne sarà compiuto e a quel punto si aprirà la partita della nomenklatura del Palazzo. Alludiamo alla ristretta cerchia dei consiglieri, una dozzina, che sono gli unici «dipendenti» del Colle sottoposti a rotazione (tutti gli altri sono «di ruolo» o «distaccati»). Il loro lavoro è strettamente fiduciario e quindi soggetto ai criteri dello spoil system.
È su questa base che ogni presidente compone lo staff. Una squadra di collaboratori che deve assisterlo — con spirito di collegialità e cercando di ammortizzare le eccessive pressioni esterne — per gli affari interni, giuridici e dell’amministrazione della giustizia, finanziari, per i rapporti internazionali, militari e con il Consiglio supremo di difesa, per il patrimonio artistico, per la comunicazione e la stampa…
Al vertice di questa potente alta burocrazia — di solito invisibile e refrattaria a parlare — c’è il segretario generale.
Una figura che, mutuando una metafora monarchica, potrebbe un po’ ricordare il ministro della Real Casa. Ruolo da «interfaccia istituzionale» ricoperto in passato da grand commis del livello di Antonio Maccanico (con Pertini e con il primo Cossiga), Gaetano Gifuni (con Scalfaro e Ciampi) e, nei nove anni di Napolitano, da Donato Marra. È lui, assieme a consiglieri come Carlo Guelfi (responsabile della segreteria del presidente), Antonio Zanardi Landi (guida dell’ufficio diplomatico e pianificatore delle missioni all’estero), Giancarlo Montedoro (guida, in tandem con Salvatore Sechi, dell’ufficio giuridico) e qualche altro, l’anima del «consiglio di saggi» — chiamiamolo così — che Mattarella troverà al Quirinale.
Alcuni potrebbe confermarli, magari pro-tempore, anche perché certe particolari competenze non si inventano dalla mattina alla sera. E una prima verifica dei suoi orientamenti, se tutto procederà secondo le ultime profezie venute da Montecitorio, la si avrà già martedì.


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