Migranti. Annus horribilis sulle rotte della disperazione

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Nel corso delle ultime set­ti­mane sulla stampa nazio­nale e inter­na­zio­nale è un pro­li­fe­rare di ana­lisi e a volte di allarmi sulle vie del ter­ro­ri­smo in Europa. I neo­fa­sci­sti alla Marie Le Pen e i fascio-padani Sal­vini e Bor­ghe­zio hanno subito chie­sto di respin­gere le migliaia di per­sone che sbar­cano sulle nostre coste. Pochi giorni fa il mini­stro degli Esteri, Gen­ti­loni, ha dichia­rato che qual­che ter­ro­ri­sta potrebbe sbar­care con i pro­fu­ghi. Salvo poi smen­tire tutto. La con­fu­sione regna sovrana e spesso porta con sé il rischio di derive xeno­fobe, auto­ri­ta­rie, raz­zi­ste.

Pro­viamo allora, con l’aiuto di un inte­res­sante arti­colo con­te­nuto nel dos­sier dell’Ispi del gior­na­li­sta Enrico Casale, dal titolo Immi­gra­zione, con­ti­nua la tra­ge­dia sotto casa, ad ana­liz­zare dati e infor­ma­zioni in modo più rigoroso.

È innan­zi­tutto bene ricor­dare che il 5 dicem­bre del 2014, ossia appena un mese prima della tra­ge­dia che ha col­pito il gior­nale Char­lie Hebdo, 18 gio­vani pro­fu­ghi sono morti di freddo e disi­dra­ta­zione nel ten­ta­tivo di attra­ver­sare con un gom­mone il Mar Medi­ter­ra­neo. Dopo giorni di navi­ga­zione, il gom­mone è stato inter­cet­tato da una navea della Marina mili­tare ita­liana che ha sal­vato 75 per­sone, ma per 18 gio­vani pro­fu­ghi non c’è stato scampo. Come ricorda Casale, quell’imbarcazione, come molte altre, era par­tita dalle coste libi­che, dire­zione Lam­pe­dusa. Un viag­gio della spe­ranza, gestito gene­ral­mente da orga­niz­za­zioni mafiose e ter­ro­ri­sti­che che dif­fi­cil­mente fareb­bero imbar­care pro­pri adepti con il rischio di farli arre­stare dalle forze dell’ordine che pat­tu­gliano il Medi­ter­ra­neo, o morire, come accade spesso, di freddo o affo­gati. Per quelle orga­niz­za­zioni, ogni adepto o fana­tico pronto al mas­sa­cro è un inve­sti­mento che ha senso solo se ese­gue il suo man­dato ter­ro­ri­stico e non certo se muore in mare o viene catturato.

Il 2014 è stato l’annus hor­ri­bi­lis per l’immigrazione verso l’Europa. Secondo l’Alto Com­mis­sa­riato Onu per i Rifu­giati (Unhcr), 348mila per­sone nel mondo hanno rischiato la vita sui bar­coni per migrare o cer­care asilo in altri paesi. Di que­ste, 4.272 sono dece­dute. Sem­pre nel 2014 oltre 207mila per­sone hanno ten­tato o sono riu­scite ad attra­ver­sare il Medi­ter­ra­neo, tre volte in più rispetto al 2011 (ultimo picco), quando erano 70mila i pro­fu­ghi in fuga verso l’Europa. Ma è record anche per i morti: su 4.272 vit­time, 3.419 hanno perso la vita ten­tando di supe­rare il Canale di Sicilia.

Secondo Casale e l’Ispi, si con­tano almeno sei grandi vie per­corse da coloro che si diri­gono verso l’Europa. La prima segue il sen­tiero occi­den­tale e inte­ressa soprat­tutto Mali, Sene­gal e Gam­bia. Il sen­tiero nel Sahel s’incrocia con la seconda via usata da chi pro­viene da Nige­ria, Ghana e Niger. È Aga­dez, in Niger, la città-snodo della rotta occi­den­tale, dove si è regi­strato un forte aumento della pre­senza di afri­cani occi­den­tali. Ad ago­sto 2013 se ne con­ta­vano più di 5mila. Metà dei pro­fu­ghi che arriva a Lam­pe­dusa rac­conta di essere pas­sata da lì.
Chi passa dal cor­ri­doio cen­trale, fa tappa anche in Bur­kina Faso. A Oua­ga­dou­gou, la capi­tale bur­ki­nabé, è forte la pre­senza della mafia nige­riana che gesti­sce i traf­fici delle vit­time di tratta. Un’organizzazione spie­tata, con dira­ma­zioni anche in Occi­dente, dedita al traf­fico di uomini e soprat­tutto donne che poi costringe alla pro­sti­tu­zione. Per 3.200 chi­lo­me­tri di fron­tiere con sei dif­fe­renti paesi, il Bur­kina Faso ha poco per­so­nale per gestire un pas­sag­gio di decine di migliaia di per­sone al giorno. Attra­verso que­ste due rotte, tra l’altro, pas­sano anche i traf­fici di siga­rette e droga pro­ve­nienti dall’America latina, tanto per dire. Que­sti traf­fici, insieme a quelli di esseri umani, ven­gono gestiti anche dai gruppi isla­mici fon­da­men­ta­li­sti per finan­ziare il jiha­di­smo nel Sahel. Un’analisi accu­rata di que­sta regione e delle sue dina­mi­che si ritrova nel libro Sahel in movi­mento (L’Harmattan Ita­lia edi­tore, euro 36.00), a cura di Maria Luisa Mani­scalco, docente ordi­na­rio di socio­lo­gia all’università di Roma Tre, rea­liz­zato con il con­tri­buto del Cemiss (Cen­tro mili­tare di studi strategici).

I pro­fu­ghi del Corno d’Africa, che arri­vano soprat­tutto da Eri­trea, Etio­pia, Sud Sudan e Dar­fur, per­cor­rono invece altre tre rotte. Le due prin­ci­pali por­tano a Omdur­man, in Sudan. Al mer­cato cit­ta­dino si tro­vano i pas­seurs che li gui­dano verso l’oasi di Cufra (Libia), da qui a Tri­poli e poi a Lam­pe­dusa (rotta in parte seguita anche dai pro­fu­ghi siriani che fug­gono dalla guerra civile); oppure risal­gono il Sudan verso l’Egitto e poi verso Israele. Quest’ultima rotta è par­ti­co­lar­mente rischiosa. Molti di loro fini­scono nelle mani dei beduini del Sinai che li rila­sciano solo in cam­bio di lauti riscatti e dopo averli sot­to­po­sti a vio­lenze inau­dite. Su que­sti rischi non è secon­da­ria la respon­sa­bi­lità di Israele, indif­fe­rente ai diritti umani. Secondo le stime dell’Unhcr, 83mila per­sone hanno ten­tato di attra­ver­sare lo Stretto di Aden verso la Peni­sola araba cer­cando for­tuna nei ric­chi Paesi del Golfo.
L’ultima rotta, la più recente, è quella che dall’Africa orien­tale porta i migranti in Africa occi­den­tale e, da qui, verso l’America latina.



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