Viaggio nelle paure della Germania «Tassi troppo deboli, addio rigore»
Weidmann non usa toni esasperati per quella che molti commentatori hanno giudicato una sconfitta sua nel confronto-scontro con Draghi. Ma dice qualcosa di rilievo. Segnala che la banca centrale che compra titoli dello Stato è la fine dell’ortodossia tedesca in fatto di politica monetaria: della dottrina imparata a memoria dalle generazioni post belliche e ritenuta la pietra fondante della stabilità finanziaria e del successo del deutsche mark , la vecchia valuta tedesca. In sostanza, la fine di quella che in Italia è conosciuta come separazione tra banca centrale e Tesoro.
In questo quadro, il quotidiano tedesco probabilmente più autorevole, la Frankfurter Allgemeine Zeitung ( Faz ), ieri scriveva che «l’istituzione più potente d’Europa seppellisce i principi dell’Unione monetaria». Tradotto: al momento degli accordi sulla formazione dell’euro, negli anni Novanta, ai tedeschi era stato assicurato che la nuova banca centrale dell’eurozona sarebbe stata una Bundesbank allargata, fondata sugli stessi principi. Oggi, la Germania si sveglia nella convinzione che non sia così, che qualcuno abbia imbrogliato.
Non importa che l’osservazione sia corretta o meno, che i tempi e le circostanze cambino, che la decisione di giovedì fosse in buona misura inevitabile: la sensazione prevalente in Germania è quella.
Angela Merkel ha rispettato l’indipendenza della Bce, anche se probabilmente non ha apprezzato la decisione: la quale, tra l’altro, solleva malumori nel suo partito e nel governo e offre argomentazioni ai movimenti antieuro, a cominciare da Alternative für Deutschland. Anche ieri, a Firenze, ha tenuto bassi i toni. E lo stesso ha fatto il suo ministro delle Finanze, l’influente Wolfgang Schäuble: dalle vette del summit alpino di Davos, ha commentato che «la politica monetaria attiene alla Bce e stanno facendo il lavoro molto bene». È scettico sulla scelta del QE perché vede il problema «dell’azzardo morale», della possibilità che ora, di fronte a tanto stimolo monetario, i governi ne approfittino per non fare le riforme promesse. Nel complesso, però, il governo di Berlino rispetta l’indipendenza della Bce: diversamente, i mercati e l’euro sarebbero sottosopra. È il resto della Germania, però, che inizia a interrogarsi su cos’è successo: riflessione destinata ad avere effetti, prima o poi, nella Buba che si è trovata isolata, o in minoranza netta, nell’eurozona; e probabilmente anche nei rapporti del Paese con il resto del continente. In fondo, oggi si può dire che l’Europa non è poi così tedesca come si diceva.
A parte i giornali considerati conservatori, come la Bild e la Faz , le critiche sono arrivate anche da sinistra. La Süddeutsche Zeitung scriveva che il QE «beneficia gli Stati pesantemente indebitati», che «le ragioni per cui è sbagliato sono legioni», costituzionali, politiche, economiche. Altri, come il quotidiano finanziario Handelsblatt si domandava se siamo «al finale» dell’euro. Solo Die Welt diceva che le critiche vanno rivolte in realtà ai politici che non hanno fatto quello che dovevano e hanno costretto Draghi alle misure estreme.
Giornate non facili per l’europeismo tedesco.
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