Andalusia, irrompe Podemos. Ma non trionfa

Andalusia, irrompe Podemos. Ma non trionfa

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Podemos e Ciudadanos, le due formazioni che vogliono ribaltare il potere spagnolo, non sfondano. Nel voto di ieri in Andalusia i socialisti del Psoe restano maggioranza relativa e potrebbero ancora trovare alleati per continuare a governare la grande regione del Sud come fanno da 33 anni di fila. Difficile, ma possibile. In compenso, la frammentazione politica è ormai realtà. Psoe e Pp, i due grandi partiti che hanno governato in alternanza dalla fine del Franchismo, raccolgono assieme poco sopra il 60% contro l’80% di tre anni fa. Gli altri si dividono quel che resta: tanto, ma non abbastanza per stravolgere i rapporti di forza. La staffetta tra vecchi e nuovi è stata sventata grazie all’intuizione di una donna, Susana Díaz. È stata la presidentessa socialista dell’Andalusia a volere queste elezioni anticipate per separare il destino del socialismo andaluso dalla crisi del partito nazionale. Ed ha avuto ragione. Il Psoe ha retto grazie alla peculiarità della sua presenza nella regione. Nel 2012 aveva ottenuto 47 seggi, ieri, a scrutinio quasi finito, dovrebbe aver uguagliato il risultato. Sono calati i voti sì, ma, grazie alla frammentazione, i seggi sono rimasti gli stessi. Già perché in Andalusia il Psoe è da sempre mamma e papà per contadini inefficienti e disoccupati, dipendenti pubblici e cooperative fiancheggiatrici. È il «sistema andaluso» che negli anni ha generato migliaia di scandali, processi, condanne. Almeno 6 miliardi il costo della corruzione e sono migliaia i politici indagati in una terra con un quinto della popolazione spagnola, ma solo un settimo del Pil, record di disoccupazione, di bassa crescita e di sussidi pubblici. Susana Díaz, incinta di 5 mesi, ha puntato sulla paura degli andalusi di restare orfani. La presidentessa non ha neppure tentato una rigenerazione ideologica che è invece il difficile compito del segretario nazionale Pedro Sánchez. Tant’è che Susana non ha praticamente voluto Sánchez ai suoi comizi. Non è stata solo una questione di rivalità personale. Lei parla di continuità, un messaggio che può funzionare solo in Andalusia, lui di un rinnovamento che è invece ciò che il resto della Spagna chiede. Stesso partito, politiche incompatibili. La vittoria a Siviglia non cambia la crisi nazionale del Psoe.
Temeraria la campagna della giovane rivale della Díaz messa in campo da Podemos, Teresa Rodríguez. La pupilla di Pablo Iglesias è arrivata a parlare di corda in casa dell’impiccato: «Il Plan de Empleo Rural (i sussidi ai lavoratori agricoli che garantiscono lavoro a 400 mila andalusi) è una rete clientelare». Nonostante la denuncia choc, Podemos si piazza al terzo posto guadagnando da zero 15 deputati nel Parlamento regionale. In chiave nazionale, nei prossimi appuntamenti elettorali di cui è costellato l’anno spagnolo, la coerenza potrebbe rivelarsi premiante.
Soffre il Partido Popular del premier Marian Rajoy. Nel 2012 aveva ottenuto qui il suo miglior risultato storico: 50 seggi e maggioranza relativa. Era il momento in cui la teoria dei bilanci virtuosi, dei sacrifici duri, ma necessari era al massimo della popolarità. Ora la modestia della ripresa economica fa pagare il conto e i seggi guadagnati sono solo 33. Per Rajoy, però, un Psoe vincente a Siviglia è meno fastidioso di un Podemos al potere andaluso.
Ago della bilancia si prospetta la nuova formazione di centrodestra Ciudadanos con i suoi 9 deputati. Per il leader nazionale Albert Rivera si presenterà il dilemma se governare a Siviglia come socio di minoranza con il rischio di bruciarsi o attendere le altre elezioni dell’anno da una più comoda opposizione.
Andrea Nicastro


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