Azzardo di Stato

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IERI pomeriggio alle sei sedeva in penombra in una sala di Better Slot in via Nicolò da Pistoia un gruppo di sette persone. Questo Better Slot ospita una ventina di slot machine e videolotterie fra la Circonvallazione Ostiense e il quartiere romano della Garbatella. Dopo una mezz’ora, i sette non si erano ancora scambiati una parola. Una signora con una sigaretta accesa nella mano sinistra schiacciava ogni pochi istanti con la destra il pulsante di una macchina chiamata Sphynx. Si vince quando si allineano tre o quattro sfingi egizie. La macchina mandava suoni studiati per essere seducenti, e ogni tanto in sala si udiva il rumore di una breve cascata di monete. Come centinaia di migliaia di altri italiani, quei sette in via Nicolò da Pistoia stavano contribuendo in maniera decisiva a un solo obiettivo: tenere il Paese al riparo da una procedura per deficit eccessivo a Bruxelles.
Nel 2013 le entrate erariali da piccole e grandi slot machine sono arrivate a 4,3 miliardi di euro, secondo l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato. L’anno scorso i ricavi di base si sono più o meno confermati allo stesso livello, ed è stato un risultato provvidenziale: il rapporto fra deficit pubblico e prodotto lordo nel 2014 si è attestato al 3,033%, per soli 274 milioni di euro l’Italia ha evitato una procedura per deficit eccessivo che avrebbe costretto il governo a nuove, pesanti correzioni di bilancio. Gli avventori dell’azzardo di Stato, un universo basato su un sistema di concessioni pubbliche senza paragoni al mondo, sono a loro insaputa degli eroi della crisi finanziaria: hanno salvato i conti pubblici. Dall’inizio del 2014 fino al primo agosto scorso, almeno 333 di loro erano o erano stati in cura per dipendenza dal gioco d’azzardo presso i servizi sanitari della Regione Lazio. Non esistono dati su base nazionale, ma l’incidenza del Lazio su questo fenomeno suggerisce che gli italiani affidati alla sanità pubblica per curarsi dalla “ludopatia”, la dipendenza dalle scommesse, devono essere almeno cinquemila ogni anno. Forse settemila, se si tiene conto che alcune Asl non rispondono ai questionari.
Ovviamente le slot machine non sono la sola fonte di ricavi dell’azzardo di Stato. Fra Lotteria Italia, Gratta&vinci, Bingo, giochi in rete ed altro, le entrate erariali nel 2013 hanno superato gli otto miliardi. Le slot di vario tipo pesano per oltre metà di questi ricavi. Il governo ha poi imposto di recente sulle 13 società concessionarie una sovrattassa da 1.200 euro per ogni macchina che abbia operato anche un solo giorno in una periferia italiana nel 2014. In totale fa mezzo miliardo, perché questo Paese si fregia di una particolarità che lo rende unico in Europa e in tutto l’Occidente: secondo le stime di Repubblica sui dati di Euromat e su quelli dei singoli Paesi, l’Italia ha in assoluto la più alta densità di slot machine di vario tipo. Da sola ne ospita ufficialmente 414.158, circa la metà di quelle presenti in tutto il territorio degli Stati Uniti. In Italia c’è una di queste macchine ricche di neon colorati e suoni ipnotici ogni 143 abitanti. In Germania una ogni 261, negli Stati Uniti una ogni 372. Sulle videolottery, le macchine dove si scommette non uno ma dieci euro per volta, il primato del Paese è ancora più netto: secondo il consulente di settore Eugenio Bernardi ve ne sarebbero 160 mila in funzione in tutto il mondo, ma di queste 50.985 sono attive in Italia (in base ai dati ufficiali dei Monopoli di Stato).
Dal 2009, quando l’ultimo governo di Silvio Berlusconi ha lanciato le slot per far quadrare i propri conti, questo Paese è rapidamente diventato un campione mondiale del settore. Non c’è ormai angolo di strada sprovvisto di un’opportunità di erodere i bilanci familiari. Nel 2013 gli italiani — spesso di ceto basso o medio-basso, per lo più uomini e di mezza età — in totale hanno fatto scivolare in quegli ingranaggi luminosi 9,4 miliardi di euro. Una stima fornita dalla Regione Lazio indica che i costi sanitari diretti da ludopatie è di 85 milioni di euro l’anno; ma i costi “indiretti”, dovuti al crollo della capacità lavorativa o alla perdita del posto per chi è catturato dal gioco, sarebbero di quasi cinque miliardi.
La prossima settimana il governo deciderà se modificare la tassazione su questa parte del gioco d’azzardo e ridurre il numero delle macchine nelle città. Sembra certo che non taglierà le videolottery , quelle che pesano di più sulle tasche di chi vi si accanisce sopra. Qualcosa dovrebbe emergere nel decreto di attuazione della legge delega fiscale annunciato dal governo per il 20 marzo. «Gli obiettivi sono la tutela della salute pubblica, la lotta all’illegalità e l’attenzione alle entrate — ha detto di recente Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia — . C’è un eccesso di offerta in alcune situazioni di gioco, troppa diffusione sul territorio. Dobbiamo trovare un equilibrio, partendo dalle condizioni di salute nella società».
Paradossalmente però neanche i conti delle imprese concessionarie delle slot machine sono in salute. I loro bilanci fotografano l’implosione in corso. Queste aziende sono di fatto esattori di un prelievo non dichiarato e su di esse il governo e il parlamento negli anni hanno avanzato pretese, imposto multe sempre più esose, richiesto versamenti una tantum.
Così si è rapidamente arrivati all’osso, mentre ogni periferia d’Italia si riempiva di sale giochi e bar-casinò. Le concessionarie attive sono Igt (ex Gtech ed ex Lottomatica), Snai, Bplus, Cogetech, Gamenet, Sisal, Hbg, Gmatica, Codere, Cirsa, Intralot, Nts Network, Netwin Italia. Da un’analisi dei loro bilanci 2013 — gli ultimi disponibili, a parte le prime due che sono quotate — emerge che un anno fa avevano debiti cu-mulati per 5,4 miliardi di euro. E anche se una parte minore di questi debiti va imputata ad altre attività, si tratta comunque di un livello di guardia. In teoria governo di Mario Monti aveva vietato loro di pagare per le concessioni indebitandosi, un’abitudine malsana e rischiosa per questi esattori non dichiarati. Eppure tutte lo fanno lo stesso e lo Stato chiude un occhio, visto il ruolo di queste aziende.
Le società più esposte sono Sisal, Snai, Intralot, Codere, che con gli attuali risultati impiegherebbero tra 4 e 8 anni per coprire il loro debito netto. Le 13 concessionarie, con la notevole eccezione di Igt, la più grande e che fa capo alla famiglia De Agostini, sono quasi tutte in mano a fondi chiusi, ossia ai private equity. Ma per loro i margini di guadagno si stanno azzerando, anche perché l’alleanza in affari con un socio famelico come lo Stato costa cara. Tutti gli azionisti delle concessionarie vorrebbero vendere, nessuno vuole comprare. Nel 2013 quasi tutte hanno chiuso in rosso.
In via Nicolò da Pistoia, la signora con la sigaretta nella mano sinistra continua a far girare il rullo di Sphynx con la destra. Ha già fatto scivolare nella feritoia molte monete, ma non ha ancora vinto. Inutile chiederle se sa quanto renda all’erario questa sua attività. «Non sono pratica del settore», risponde.


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