Il cibo è donna Quel sapere antico che nutre il mondo

Il cibo è donna Quel sapere antico che nutre il mondo

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Ogni volta che sappiamo, ricordiamo o pensiamo al cibo c’è quasi sempre una donna. Cinzia Scaffidi, nel suo Mangia come parli (per Slow Food) lo spiega così: “Le donne si fanno cibo, per i propri figli appena nati, e un tempo poteva avvenire che lo facessero anche per i figli degli altri”. Ma il modo di evolvere dell’agricoltura, dell’allevamento e perfino della cucina ha messo a dura prova le donne dopo la rivoluzione industriale, separandole da tutto ciò che era intensivo, grande, pesante e soprattutto vendibile. Dieci anni fa, una famosa inchiesta condotta dall’Ipgri (International Plant Genetic Resources Institute) chiese a un campione di donne e a uno di uomini quali erano le caratteristiche più importanti che le sementi dovevano avere. I maschi si concentrarono sulla resa e sul peso, le donne sull’idea di avere un raccolto tutti gli anni. E quando anche la cucina, nel senso degli chef stellati, è diventata uno dei lavori meglio pagati, anche lì gli uomini si sono fatti maggioranza.
Dicotomie di genere a parte, l’Expo di Milano e il suo tema, la nutrizione e la sicurezza alimentare, vedranno per la prima volta le donne “organizzate” da una struttura, come Women for Expo, avere un ruolo centrale in una manifestazione mondiale di questa importanza. E tanta è la fatica, e i risultati che già si vedono oggi, che l’idea è quella di tenere in piedi l’organizzazione – come la presidente esecutiva di Women for Expo Marta Dassù e quella onoraria Emma Bonino confermano – anche dopo Milano, con un accordo con Dubai per il 2020. «Dobbiamo parlare di donne e alimentazione uscendo dal cliché che vuole le donne solo come coloro che “si prendono cura”», dice Dassù. «In realtà hanno un peso molto rilevante nella produzione agricola mondiale. E dovranno avere maggiore accesso al credito agricolo, ai diritti di proprietà della terra e all’educazione. In particolare nei Paesi africani, dove continua a concentrarsi gran parte del problema della fame e della malnutrizione. Se ciò non avverrà, non ci saranno possibilità concrete di migliorare la sicurezza alimentare nel Pianeta, tema al centro di Expo Milano 2015». Il tema portante di Women for Expo è lo spreco: oggi un terzo dei cibo prodotto viene perduto o buttato, l’obiettivo è quello di una rete che tenga insieme governi, business, cittadini e organizzazioni della società civile. Ma affermare che solo una grande – e mondiale – alleanza tra le donne può contribuire a risolvere il problema, in una stagione di cambiamento climatico che lascia prevedere difficoltà maggiori per l’acqua e le coltivazioni, è uno stimolo potente a guardare ciò che le donne fanno già oggi nel proteggere, coltivare e preparare ciò che mangiamo.
Rachel Black, antropologa, ricercatrice al Collegium di Lione, lo fa partendo da un’esperienza francese: «Le grandi chef», racconta, «o più semplicemente le cuoche di fama che mandavano avanti in prima persona ristoranti importanti, sono sparite dopo la Seconda guerra mondiale. Sono poche nelle guide Michelin, ma poche anche sul podio dei concorsi per la cucina e la pasticceria. Il loro sapere era un tempo basato sulla tradizione orale, qualcosa di molto diverso da ciò che si insegna ora nelle scuole, essendo la cucina diventata professionale. Ora però le donne più giovani hanno accesso a questa professionalizzazione, ma non ancora abbastanza da arrivare alla pari con i maschi». Girando da un ristorante famoso all’altro, Rachel Black ha incontrato donne alla guida di cucine che tenevano chiuso il ristorante la sera per stare con la famiglia, con risultati qualche volta brillanti e qualche altra meno. E una trentaduenne di successo che le ha confessato: «Essere chef mi dà gioia. Non credo che mi sposerò mai perché non esco mai di qui».
Ragioni terrene, e personali, che si intrecciano con quelle del business e dei costi di una grande cucina. Ma che spiegano bene la supremazia maschile in tutti quei campi che riguardano il cibo dove ci si occupa di grandi mercati, di quote, di prezzi, di quantità. E restituiscono alle donne l’importanza della qualità, dalla quinoa all’argan, che oggi viene ritenuta essenziale per proteggere la biodiversità del pianeta. «Le donne funzionano un po’ come le rose nelle vigne», conclude Cinzia Scaffidi. «Sono quelle piante all’inizio dei filari che non hanno una funzione decorativa, ma servono da “spie”, perché avvertono quando c’è carenza di ferro, o è arrivato un parassita». Senza quelle, niente più vendemmia.


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