L’INEVITABILE ORRORE UMANO

L’INEVITABILE ORRORE UMANO

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TRE cose insegna il massacro compiuto dal copilota del volo 4U9525. La prima è che dobbiamo rassegnarci ad ammettere tra le cause di fatalità oltre all’errore umano, che deprechiamo perché evitabile, l’orrore umano che ci appare inaccettabile tanto quanto è inevitabile. La seconda è che in volo la sicurezza assoluta è un’utopia, ogni mossa ha una controindicazione: puoi impedire l’ingresso in cabina di pilotaggio del kamikaze, ma se il kamikaze è dentro otterrai l’effetto opposto. La terza è che, in una visione dall’alto di questo collettivo affanno, la destinazione di ogni viaggio, per quanto ci si danni, resta Samarcanda, il presunto rifugio dove, invece, la dea della fine aspetta senza fretta.
Ce ne sarebbe una quarta, ma bisogna arrivarci per gradi.
L’orrore umano, anzitutto. Come possiamo pensare che viaggi insieme a noi? Guardiamo gli altri passeggeri e sembrano anche loro affamati di vacanze, incontri, scoperte, magari quelli con l’abito e la tessera fedeltà di contratti da concludere a destinazione, nessuno certo s’imbarca per farla finita. E l’equipaggio che passa trascinando il trolley dal varco riservato è solo un’altra squadra di lavoro che parla di turni, tresche tra colleghi, ristoranti nella città in cui si atterra e si adoprerà per farci arrivare, non schiantare. Nel tempo abbiamo imparato a diventare sospettosi, a notare e perfino segnalare individui dall’apparenza o dal comportamento sospetti. Sono fobìe, ma con qualche giustificazione. Abbiamo preso atto dell’odio: pur di colpire c’è chi è pronto a morire con il proprio bersaglio.
Questo è il punto: il bersaglio. Per quanto folli gli assassini dell’aria ne hanno solitamente uno: l’America, l’Occidente, la razza ebrea, l’ex moglie che abita tremila metri più sotto. Nel film candidato all’Oscar Storie pazzesche un pilota chiuso in cabina ha regalato un volo omaggio a tutti quelli che gli han fatto del male e precipita con loro sulla casa dei genitori. L’orrore umano del copilota del volo 4U9525 è che ammazza 149 persone a caso, uomini donne e bambini di ogni nazionalità, età religione, spiaccicandole su una montagna senza storia. Non c’è significato, non c’è rappresentazione, non c’è causa: niente. Il vuoto. Per quanto appurato finora l’unico bersaglio “in chiaro” dell’azione omicida era lui stesso. Il resto del carico, il resto del mondo, un bagaglio senza etichetta: niente.
Come la eviti una cosa del genere? Tutto il teatro della sicurezza messo in piedi dopo l’11 settembre 2001 è, appunto, teatro. Si recita a soggetto, la battuta arriva sempre in ritardo e si sente distintamente la voce del suggeritore. Ogni intervento segue un’azione già compiuta, è prevenzione postuma. Si controllano scarpe e liquidi dopo che qualcuno ha già tentato di usarli come arma (senza successo) e si continua a farlo quando è chiaro che nessuno ci proverà più. Tutte le forbicine, i flaconi di profumo fuori misura e i formaggi molli sequestrati non sono parziali vittorie ma altrettante imminenti sconfitte, decretate il giorno in cui il disastro si compie in forme non previste. Ma quanto è prevedibile, su un aereo?
Se io decido, come ho fatto proprio nel giorno della sciagura, di guidare per mille chilometri sotto la pioggia battente e praticamente senza soste corro un rischio, certo, infrango protocolli di sicurezza e tuttavia so che il mezzo meccanico è stato controllato prima della partenza, cambiate ruote e spazzole tergicristallo, mi sento in forma e con i riflessi pronti, il mio copilota, seppur infortunato, ha la stessa mia smania di arrivare al traguardo e non mi sterzerà il volante all’improvviso. Quando salgo su un aereo delego totalmente ad altri la mia incolumità. Posso solo sperare che la compagnia aerea abbia effettuato i controlli, che i miei vicini di poltrona non siano malintenzionati e, ma non da ieri, che i piloti abbiano coniugi focose o amanti devote ad attenderli. Tutto quello che le hostess o i video di bordo raccontano, “nel malaugurato caso di incidente” è altro teatro: maschere a ossigeno, salvagenti e portelloni a spinta sono oggetti di scena che rimarranno inutilizzati. A che cosa possiamo votarci?Anni fa presi un volo Beirut-Parigi. Nella capitale libanese ci sono 17 confessioni religiose, ma è difficile distinguere chi crede in cosa, sono tutti “in borghese”. Né tuniche, né veli: cristiani e musulmani sono uguali. Poi ci fu una forte turbolenza e potei facilmente distinguerli: i cristiani pregavano per la salvezza, i musulmani, immobili, si rimettevano al volere di dio (inshallah). Il fatalismo non è una fede, ma un atteggiamento laico e pragmatico. La cronaca ci insegna che ogni sciagura ha scampati per un cambio di rotta all’ultimo momento e vittime per lo stesso motivo. Probabilmente martedì scorso in Europa ci sono state 150 vittime di incidenti domestici. Il punto non è garantire la sopravvivenza (impossibile) ma affermare un senso. Non ci sarà mai una scatola nera delle emozioni e dei pensieri di un uomo ma è da lì che va estirpato l’orrore, lì che va riempito il vuoto.


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