Uno dei due piloti chiuso fuori dalla cabina L’unica certezza: non c’era una bomba

Uno dei due piloti chiuso fuori dalla cabina L’unica certezza: non c’era una bomba

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LE VERNET «Direct IRMAR merci 18G». Le ultime parole sono queste. Una comunicazione di servizio. Il pilota conferma di aver ricevuto dal centro di controllo a Marsiglia l’autorizzazione a dirigersi in linea retta verso il prossimo punto previsto dal piano di volo. Mentre 18G non è altro che l’abbreviato del Barcellona-Düsseldorf di Germanwings, Irmar è il nome della stazione radio di Rouet, all’interno del Parco naturale del Queyras, non distante dal confine italo-francese, alla quale entro trenta minuti l’Airbus dovrà dare nuovamente le sue coordinate. Tutto normale, grazie. Fino a qui tutto bene.
Lo schianto
«Vietato l’accesso, area sottoposta a sequestro giudiziario». Ci hanno messo anche i cartelli e le recinzioni, come se fosse possibile arrivarci dalla cresta del col du Mariaud, dove la scorsa notte è caduta un’abbondante nevicata. Il luogo dove si trovano i resti dell’aereo e dei suoi passeggeri è una gola stretta ai piedi di una parete di roccia. I montagnards locali che si sono offerti di farci da guida stimano che il perimetro dell’intera zona non sia superiore ai 400 metri. L’aereo non è esploso in volo, altrimenti la «scena del crimine» avrebbe avuto dimensioni ben più vaste. Anche la Bea, l’Ufficio inchieste e analisi per la sicurezza dell’Aviazione civile ha confermato. La concentrazione dei detriti in uno spazio così ristretto esclude in parte l’ipotesi peggiore, quella di un attentato, comunque di una bomba a bordo.
La rivelazione
Le magre consolazioni finiscono qui. L’angoscia di non sapere le cause di questo disastro è destinata a durare. «Al momento si tratta di una tragedia inspiegabile» hanno detto all’unisono il procuratore capo di Marsiglia e un paio di ministri francesi arrivati ieri al campo base di Seynes-les-Alpes. Ci sono buone possibilità però che non si trasformi in un mistero ormai metafisico come è diventato quello del volo 370 della Malaysia Airlines, scomparso nel nulla l’8 marzo 2014 senza che alcuna risposta plausibile sia mai stata trovata. La prima scatola nera del Germanwings ha conservato intatto il file audio della cabina di pilotaggio. Non ci sono comunicazioni all’esterno e neppure richieste di aiuto, ma si tratta di un documento prezioso, perché dovrebbe aver registrato i suoni e gli annunci fatti nella cabina, anche gli eventuali allarmi, semmai ne fosse scattato uno. L’analisi acustica potrà anche stabilire il regime al quale stavano girando i motori dell’Airbus. Nella notte il New York Times ha anticipato un dettaglio che se confermato cambierebbe ogni scenario, rendendolo ancora più inquietante. Dal sonoro, riferiscono fonti investigative, si intuirebbe che uno dei due piloti avrebbe lasciato la cabina per qualche minuto. Al momento di rientrare avrebbe bussato. Una volta, poi un’altra, sempre più forte. Senza ottenere mai risposta. Fino a tentare di sfondare la porta. Al momento è impossibile capire perché un pilota abbia lasciato la cabina. Ma se fosse vera l’indiscrezione, al momento dello schianto, al comando dell’aereo c’era un solo pilota, che non ha voluto, o potuto, aprire la porta.
La discesa
L’emotività sta lasciando spazio all’analisi dei pochi punti fermi, nel tentativo di placare l’ansia collettiva dovuta all’assenza di qualunque spiegazione logica. E dunque: l’Airbus è partito da Barcellona in orario, alle dieci del mattino. Alle 10.30 aveva raggiunto l’altezza di crociera di 11.582 metri, alla quale avrebbe dovuto volare fino all’inizio della manovra di atterraggio. Alle 10.33 ha invece cominciato a perdere quota, sempre di più. Alle 10.41 era sceso a 1950 metri, quota che ha mantenuto nei brevi istanti in cui è stato visibile dagli abitanti di Le Vernet e dei villaggi dell’alta Provenza. L’ultimo contatto radar avviene alle 10.53, mancano ormai pochi secondi allo schianto, quando l’aereo è sceso ancora, 1.386 metri. Senza mai tentare di rialzarsi.
Le ipotesi
Questa totale assenza di reazione durata almeno otto minuti autorizza gli esperti francesi e internazionali a immaginare a un evento traumatico avvenuto sull’aereo. Non un guasto in senso tecnico, come un’avaria ai motori. La rotta era quella, l’Airbus non ha mai deviato, come invece era sembrato in un primo momento. L’ipotesi più accreditata, ma solo in via teorica e da prendere con le molle, come ha detto ieri uno dei 15 tecnici della Bea inviati sul posto da Parigi, è quella di una improvvisa depressurizzazione dell’aereo, dovuta a un difetto strutturale come il fissaggio di un portellone oppure a una panne del sistema di aerazione, che almeno spiegherebbe con uno svenimento collettivo quella planata così passiva. Il fuoco a bordo, e persino lo scoppio di alcune pile al litio nella cabina di pilotaggio sembrano invece casi di scuola citati per dovere, perché in quel caso sarebbe stato ancora possibile impostare una discesa d’urgenza uscendo dalla rotta prevista. Ieri è stato trovato l’involucro della seconda scatola nera, ma non il suo contenuto. Sono stati trovati anche i primi corpi delle vittime. Oggi arriveranno i familiari. Il loro dolore, le nostre paure.
Marco Imarisio


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