I droni dei serial killer

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A Washing­ton ormai è un «maca­bro rituale»: una volta al mese mem­bri del Con­gresso, facenti parte delle com­mis­sioni sull’intelligence, vanno al quar­tier gene­rale della Cia a «visio­nare i fil­mati di per­sone che sal­tano in aria, col­pite dagli attac­chi dei droni in Paki­stan e altri paesi». Lo riporta il quo­ti­diano sta­tu­ni­tense The New York Times (25 aprile), sot­to­li­neando che que­sta «par­venza di super­vi­sione» serve a far appa­rire «un rigo­roso con­trollo, da parte del Con­gresso, sul pro­gramma di ucci­sioni mirate». Pro­gramma che «la Casa Bianca con­ti­nua a soste­nere», pro­mo­vendo ai più alti ran­ghi i fun­zio­nari della Cia che lo hanno costruito dieci anni fa, «alcuni dei quali sono stati anche alla guida dei pro­grammi sull’uso della tor­tura nelle pri­gioni segrete». I droni kil­ler sono ormai «inte­grati nel modo ame­ri­cano di fare la guerra».

Que­sto reso­conto del New York Times con­ferma che il pre­si­dente Obama, quando ha incon­trato il pre­mier Renzi, non poteva non essere a cono­scenza dell’uccisione di Lo Porto con un drone Cia, avve­nuta tre mesi prima. Dimo­stra che il «tre­mendo dolore», da lui tar­di­va­mente espresso, non implica un cam­bio di poli­tica sull’uso dei droni kil­ler. È lo stesso Pre­si­dente degli Stati uniti (ripor­ta­vamo sul mani­fe­sto il 12 giu­gno 2012 in base a un’inchiesta del New York Times) ad appro­vare la “kill list”, aggior­nata di con­ti­nuo, com­pren­dente per­sone di tutto il mondo che, giu­di­cate nocive per gli Stati uniti e i loro inte­ressi, sono con­dan­nate segre­ta­mente a morte con l’accusa di ter­ro­ri­smo. Soprat­tutto quando «insieme al ter­ro­ri­sta, che verrà col­pito dal drone, c’è la fami­glia», spetta al Pre­si­dente «la valu­ta­zione morale finale». Giunto il nul­lao­sta del Pre­si­dente, l’operatore, como­da­mente seduto alla con­solle di comando del drone negli Stati uniti a 10mila km di distanza, lan­cia i mis­sili con­tro quella casa in Paki­stan o in un altro paese indi­cata come rifu­gio del ter­ro­ri­sta. È stata soprat­tutto la Cia a usare i droni kil­ler in Afgha­ni­stan, Paki­stan, Iraq, Yemen, Soma­lia e diversi altri paesi. Il Comando per le ope­ra­zioni spe­ciali del Pen­ta­gono, che effet­tua azioni paral­lele a quelle Cia, ha cer­cato nel 2013 di assu­mere il con­trollo di tutte le ope­ra­zioni dei droni, ma non c’è riuscito.

La Cia con­ti­nua ad ope­rare con un numero impre­ci­sato di droni kil­ler. Si aggiun­gono a que­sti circa 250 droni da attacco della U.S. Air Force, parte di una flotta di circa 7500 droni di tutti i tipi gestiti dal Pen­ta­gono. Il loro numero è in aumento, tanto che scar­seg­giano i piloti di droni. Quelli in ser­vi­zio sono costretti a turni stres­santi, che accre­scono i «danni col­la­te­rali». Ma l’alto numero di vit­time civili è dovuto soprat­tutto al fatto che la mag­gior parte degli attac­chi dei droni (oltre il 60% in Paki­stan) è diretta con­tro case abi­tate anche da donne e bam­bini. Il numero di vit­time civili è desti­nato ad aumen­tare con l’uso di veli­voli robo­tici in grado di decol­lare, attac­care e rien­trare alla base auto­no­ma­mente. Tra que­sti il nEU­ROn, costruito da un con­sor­zio euro­peo di cui fa parte Ale­nia Aer­mac­chi, che sarà capace di «effet­tuare auto­ma­ti­ca­mente il rico­no­sci­mento del ber­sa­glio». In attesa della guerra robo­tiz­zata, Roberta Pinotti (che come Renzi ha ini­ziato da capo­scout) è decisa a far par­te­ci­pare l’Italia alla guerra dei droni: ha chie­sto a Washing­ton di poter armare gli MQ-9 Rea­per, i droni kil­ler Usa acqui­stati dall’Italia, cia­scuno capace di lan­ciare 14 mis­sili «Fuoco dell’inferno». Ottimi per distrug­gere in Libia i bar­coni dei traf­fi­canti di essere umani. Salvo il «danno col­la­te­rale» di qual­che altra strage di innocenti.



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