Gre­cia: perché Atene la rossa dirà «No»

Gre­cia: perché Atene la rossa dirà «No»

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I «cre­di­tori» respin­gono la pro­po­sta del governo greco e chie­dono altre dosi di lacrime e san­gue. Tsi­pras si smarca dal ricatto e indice un refe­ren­dum, invi­tando a votare «no» alle richie­ste delle isti­tu­zioni euro­pee e del Fmi. Siamo a un passo dall’uscita della Gre­cia dall’euro? Quali saranno le riper­cus­sioni per il nostro paese e per l’Unione euro­pea? E in que­sto guado così dif­fi­cile, quale linea dovreb­bero assu­mere le forze poli­ti­che della sini­stra? Ne par­liamo con Emi­liano Bran­cac­cio, che inse­gna Eco­no­mia poli­tica ed Eco­no­mia inter­na­zio­nale all’Università del San­nio ed è stato pro­mo­tore del «monito degli eco­no­mi­sti» sulla crisi dell’eurozona pub­bli­cato nel 2013 sul Finan­cial Times.

L'economista Emiliano Brancaccio
L’economista Emi­liano Brancaccio

Pro­fes­sor Bran­cac­cio, i prin­ci­pali organi di stampa attac­cano la deci­sione di Tsi­pras di indire un refe­ren­dum con cui chiede al popolo greco di respin­gere la bozza dei cosid­detti «cre­di­tori». Tor­nano alla ribalta gli slo­gan sui «greci irre­spon­sa­bili», che rifiu­te­reb­bero di «fare i com­piti» per risa­nare i conti e pre­ten­de­reb­bero di «pro­spe­rare a spese degli altri». Che ne pensa?
Basta osser­vare le sta­ti­sti­che uffi­ciali per ren­dersi conto che la realtà è un’altra. Negli ultimi cin­que anni i governi greci hanno dili­gen­te­mente appli­cato le ricette di auste­rity e di ridu­zione dei salari impo­ste dalla Troika. La spesa pub­blica è crol­lata del ven­ti­cin­que per­cento e le buste paga sono pre­ci­pi­tate di oltre il venti per­cento. Il risul­tato di que­ste misure è stato cata­stro­fico: la più pesante caduta della domanda, della pro­du­zione, dell’occupazione e dei red­diti mai regi­strata in epoca di pace, e un boom con­se­guente del rap­porto tra debito e red­dito. Il caso della Gre­cia sarà ricor­dato nei libri di sto­ria eco­no­mica come la prova empi­rica per eccel­lenza del fal­li­mento della dot­trina dell’austerity e della defla­zione salariale.

In que­ste ore però c’è chi è tor­nato a soste­nere che il disa­stro in cui versa la Gre­cia dipende anche dal fatto che per entrare nell’euro i governi elle­nici truc­ca­rono i conti.
È un’altra opi­nione infon­data. Innan­zi­tutto ricor­diamo che i ritoc­chi con­ta­bili li hanno fatti in tanti, per­sino i tede­schi. Ma poi stiamo ancora ai dati. Euro­stat ha sti­mato che tra il 1999 e il 2001 i «truc­chi con­ta­bili» della Gre­cia per entrare nell’euro ammon­ta­rono a meno di 10 miliardi. Non è una gran cifra se con­si­de­riamo che da quando la Gre­cia nel 2010 si è sot­to­po­sta ai pro­grammi della Troika, sono stati effet­tuati tagli alla spesa pub­blica per un ammon­tare com­ples­sivo di ben 106 miliardi. Insomma, i fami­ge­rati «truc­chi» per entrare nell’euro non rap­pre­sen­tano nem­meno il dieci per­cento degli enormi sacri­fici com­piuti dai greci per ten­tare di restarci, den­tro la moneta unica.

Veniamo alle pos­si­bili con­se­guenze del refe­ren­dum. Mat­teo Renzi afferma che si tratta di una scelta tra un «sì» e un «no» all’euro, lasciando inten­dere che lui sosterrà il «sì». Qual è la sua posi­zione?
Un’eventuale vit­to­ria dei «sì» pro­lun­ghe­rebbe solo l’agonia della Gre­cia e in pro­spet­tiva non garan­ti­rebbe la per­ma­nenza del paese nell’Unione mone­ta­ria. Di sicuro, invece, affos­se­rebbe per lungo tempo qual­siasi ipo­tesi di rilan­cio della sini­stra, in Gre­cia e non solo. Non esclu­de­rei la pos­si­bi­lità che Renzi miri esat­ta­mente a que­sto esito. Il «no» è l’unica opzione sen­sata.

Ma il «no» del popolo greco alla bozza delle isti­tu­zioni euro­pee impli­che­rebbe un’uscita del paese dall’euro? Il mini­stro delle finanze Varou­fa­kis con­ti­nua a soste­nere che la «Gre­xit» non è un’opzione con­tem­plata dal suo governo. Esi­ste ancora la pos­si­bi­lità di ria­prire la trat­ta­tiva?

Gli spazi di mano­vra si stanno strin­gendo, al punto in cui siamo non scom­met­te­rei su un’intesa. Molto dipen­derà dal com­por­ta­mento della Banca cen­trale euro­pea. In pas­sato Dra­ghi e gli altri mem­bri del diret­to­rio hanno con­di­zio­nato i loro inter­venti di sal­va­tag­gio al fatto che i paesi in dif­fi­coltà accet­tas­sero di sot­to­stare ai memo­ran­dum impo­sti dalla Troika, come nel caso cipriota. Se a Fran­co­forte non hanno cam­biato improv­vi­sa­mente linea, a un even­tuale «no» al refe­ren­dum pro­ba­bil­mente rispon­de­ranno con il blocco dei finan­zia­menti alle ban­che gre­che. A quel punto la Gre­cia sarebbe costretta ad avviare un per­corso di uscita dall’euro. Ma Tsi­pras e Varou­fa­kis potreb­bero affer­mare che sono stati but­tati fuori dall’Unione, e che la respon­sa­bi­lità dell’uscita è a carico della BCE e dei «cre­di­tori». In fin dei conti avreb­bero ragione.

Anche a sini­stra, c’è grande timore nei con­fronti di un tra­collo gene­rale dell’eurozona. La Gre­cia può diven­tare il fat­tore sca­te­nante in grado di met­tere in crisi l’intero pro­getto di uni­fi­ca­zione euro­pea?
La migliore ricerca eco­no­mica sostiene, da anni, che quello dell’eurozona è un pro­getto nato male, che crea squi­li­bri con­ti­nui tra paesi cre­di­tori e debi­tori e in pro­spet­tiva non è soste­ni­bile. Pre­sto o tardi biso­gnerà pren­derne atto, occor­rerà ripen­sare i ter­mini delle rela­zioni eco­no­mi­che inter­na­zio­nali. Occorre che la sini­stra affronti que­sta nuova fase sto­rica con una pro­pria visione e un pro­getto, potremmo dire un «nuovo inter­na­zio­na­li­smo del lavoro». Anche per que­sto, se l’impianto della moneta unica dovrà regi­strare una crepa, sarà bene che ciò avvenga da sini­stra, su impulso di un’Atene rossa, piut­to­sto che sull’onda nera mon­tante di forze ultra­na­zio­na­li­ste e xenofobe.



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