Il futuro dell’eurozona

Il futuro dell’eurozona

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BERLINO La «proposta dei cinque presidenti» non cita mai la Grecia e la Gran Bretagna. Ma è chiaro che il documento su come «Completare l’Unione monetaria ed economica dell’Europa» provi a rispondere alla crisi di Atene e cerchi di prevenire quella con Londra. Le 24 pagine del rapporto sono firmate dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, «in stretta collaborazione» con Donald Tusk, numero uno del Consiglio europeo, Jeroen Dijsselbloem, dell’Eurogruppo, Mario Draghi, leader della Bce e, infine, Martin Schulz, Parlamento europeo.
L’agenda fino al 2017
Le cinque massime cariche istituzionali della Ue suggeriscono una tabella di marcia stringente per raggiungere quell’integrazione economica lasciata a metà dal Trattato di Lisbona (2007). Si dovrebbe cominciare subito, dal primo luglio 2015, se il Consiglio europeo convocato per il 24 e il 25 giugno prossimi accoglierà questo schema. Ma la discussione non si annuncia facile. Per prima cosa bisognerebbe istituire un sistema di Authority per la competitività, coordinato dalla Commissione europea, con l’incarico di monitorare soprattutto l’evoluzione del costo del lavoro, segnalando gli scostamenti rispetto alla media europea. Un compito molto delicato, se si pensa alla centralità del tema in Paesi come l’Italia, tanto per non andar lontano.
Seguono indicazioni per «rafforzare» le procedure di controllo sugli squilibri macroeconomici e questo capitolo sembra scritto apposta per evitare che la deriva greca si replichi altrove. Serve, però, uno strumento di governo per trasformare le enunciazioni di principio in misure concrete. Come fare? L’idea, sfrondata dai tecnicismi, è semplice: usare in modo diverso le istituzioni già esistenti. Il «semestre europeo rivitalizzato» dovrebbe essere congegnato in due momenti: i Paesi dell’eurozona concordano una lista di priorità, ne discutono con il Parlamento europeo, e si impegnano a rispettarle, sottoponendosi a controlli reciproci.
L’incognita di Londra
Ma su questo passaggio l’Unione rischia di perdere per strada la Gran Bretagna. Nel testo, naturalmente, non viene evocato il referendum promesso dal premier britannico David Cameron, o dentro o fuori, da celebrare entro il 2017. La prossima curva, però, è quella. In sostanza Juncker, Draghi e gli altri prospettano un’Europa non tanto a due velocità, ma su due perimetri diversi. Quello più grande, con dentro la Gran Bretagna, coincide con il mercato unico, da rafforzare con una migliore circolazione dei beni e dei servizi, con lo sviluppo del digitale, del settore energetico e del mercato dei capitali. Il cerchio, solo leggermente più piccolo, è formato dai 19 di Eurolandia, sempre più compatto e integrato. Ora, Cameron ha sempre sostenuto la necessità di potenziare «il mercato unico», ripercorrendo la traccia di un memorabile discorso tenuto da Tony Blair davanti all’Europarlamento di Bruxelles il 23 giugno 2005: «La Ue fallirà senza modernizzazione». Il punto critico è che l’attuale premier britannico vuole diminuire il peso dell’Unione Europea e non aumentarlo, come invece, implica la formula del «semestre rivitalizzato». A meno che gli europarlamentari britannici,così come quelli degli altri otto Paesi non euro, dalla Danimarca alla Polonia, accettino di fare da soprammobile, mentre nell’emiciclo si discute per almeno sei mesi all’anno di misure da adottare nei 19 Stati membri della moneta unica.
Eurolandia compatta
Il «Rapporto dei cinque» innesca altre tensioni tra le due sfere. L’eurozona dovrebbe «completare», nel giro di due anni, l’unione bancaria, concordando, tra l’altro, un sistema di assicurazione comune dei depositi. Poi si passa «all’unione dei mercati finanziari» e, infine, «all’unione fiscale», cioè allo stretto coordinamento delle politiche economiche. Ma a quel punto la Gran Bretagna si troverebbe a convivere con un blocco sempre più estraneo. Cameron, o chi per lui, allora dovrà decidere se per la Gran Bretagna avrà ancora senso un’adesione solo formale in un club che lo esclude sistematicamente dalle decisioni economiche più importanti. Comprese quelle che condizioneranno il funzionamento del mercato unico: l’unica cosa che interessi Londra.
Giuseppe Sarcina


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