Il rischio contagio è basso ma (alla fine) per l’Italia il conto non sarà leggero

Il rischio contagio è basso ma (alla fine) per l’Italia il conto non sarà leggero

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La scorsa settimana una banca d’affari, Goldman Sachs, ha organizzato a Londra una conferenza per i propri clienti. Partecipavano centinaia di investitori, gestori di fondi, banchieri. Era l’occasione perfetta per tentare un sondaggio e capire come pensano e a cosa si preparano persone così influenti sui mercati internazionali. È stato chiesto quanti si aspettassero che la Grecia sarebbe uscita dall’euro: circa il 90% dei presenti ha fatto sapere che, secondo loro, non succederà. Quindi un’ulteriore domanda: il governo di Atene sarebbe finito in insolvenza, incapace di ripagare i creditori? Qui la risposta è andata nella direzione opposta. Il 70% di persone in sala, gente che nel complesso controlla centinaia di miliardi di euro, ha detto di sì. Si aspettano un default, che inevitabilmente sarebbe rovinoso.
In sostanza, i protagonisti dei mercati finanziari attualmente hanno l’aria di credere due cose diverse allo stesso tempo: si aspettano che la Grecia fallisca eppure pensano in fondo che se la caverà, e soprattutto che l’euro resterà intatto. Per l’Italia, che secondo molte di quelle persone riunite da Goldman è il Paese più vicino alla Grecia non solo geograficamente, questo conta: gli investitori non si preparano a un nuovo contagio sul debito.
A prima vista quella previsione dei clienti di Goldman non ha senso, perché non dovrebbe essere possibile fare default eppure restare nell’euro. Se Atene nelle prossime settimane non ripagasse il Fmi, la Banca centrale europea o i governi dell’area euro, non riceverà altro credito. A quel punto potrebbe solo produrre una moneta propria per rifornire i bancomat e pagare le pensioni.
È probabile che quei clienti di Goldman pensino che un default di Atene produrrà il caos nel Paese, la caduta del premier Alexis Tsipras, l’arrivo di un governo di unità nazionale, e poi un patto con l’Europa.
Ma c’è una ragione più profonda che rende i protagonisti dei mercati così (relativamente) rilassati, e che invece dovrebbe tenere l’Italia bene in guardia: gli investitori hanno già ridotto al minimo i loro legami con la Grecia. In Europa e nel mondo, il settore privato l’ha già isolata. Lo dicono i dati della Banca dei regolamenti internazionali: le banche italiane hanno ridotto la loro esposizione sulla Grecia da oltre 10 miliardi di dollari nel 2008 ad appena 1,3, quelle francesi da 78 a 1,6 miliardi, quelle tedesche da 45 a 13. Nessuno ha più molti soldi da perdere laggiù.
Questo è ancora più vero anche se si guarda a una dimensione sommersa, ma più insidiosa, nell’oceano dei mercati globali: i credit default swaps , i derivati che assicurano i detentori contro un’insolvenza un po’ come una polizza auto lo fa contro un furto. Quei derivati per esempio devastarono AIG nel 2008, perché la compagnia aveva assicurato contro l’insolvenza di Lehman. Il volume lordo dei credit default swaps sulla Grecia valeva 80 miliardi di dollari pochi anni fa però, secondo la Depository Trust Corporation, oggi è crollato a 1,6 miliardi. Se la Grecia fallisse, quasi nessuno dovrebbe più indennizzare nessuno altro (mentre il volume lordo dei cds sull’Italia oggi vale 374 miliardi).Tutti questi fattori stanno diffondendo l’idea che se ci sarà rottura, non si solleverà uno tsunami. Un altro elemento concorre ad alimentare la lettura benigna: molti nei mercati pensano che, in caso di crac, l’effetto immediato per l’Italia potrebbe essere paradossalmente positivo grazie alla reazione della Bce. Si prevede che la banca centrale accelererebbe gli acquisti di titoli di Stato, dunque i tassi d’interesse calerebbero e l’euro si svaluterebbe favorendo l’export. Di sicuro Francoforte aiuterebbe, come ha fatto fin qui in misura determinante, ma non è sicuro che tutto sia così semplice. Come gli altri governi l’Italia ha già scontato la sua esposizione su Atene da circa 40 miliardi, dunque il debito non salirebbe in caso di default. E proprio grazie alla rete stesa dalla Bce, il precedente di un Paese che lascia l’euro potrebbe non pesare (non subito) sugli spread. Ma proprio il fatto che la Bce abbia svolto il proprio dovere fino in fondo, sostenendo la Grecia per dare tempo al negoziato, oggi la espone a un rischio che Francoforte non ha certo provocato. L’esposizione del sistema europeo delle banche centrali verso Atene ormai è di oltre 100 miliardi, ed è un fatto normale della politica monetaria. In caso di default il sistema dovrebbe fare fronte a quella esposizione con un contributo che per l’Italia può arrivare fino a 15 miliardi. L’impatto sui mercati (forse) sarebbe piccolo, quello istituzionale sull’euro come moneta «unica» no. Non per la prima volta i mercati, e i politici, sottovalutano le conseguenze dei fatti che essi stessi innescano.
Federico Fubini


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