Giorno di battaglia nel Sinai Jihadisti all’attacco: 100 morti

Giorno di battaglia nel Sinai Jihadisti all’attacco: 100 morti

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GERUSALEMME La contraerea come un esercito regolare, i fuoristrada scoperti come i clan beduini che imperversano nel Far West di sabbia. Ieri i cammelli di acciaio portavano lanciamissili in grado di tenere lontani gli elicotteri spediti in rinforzo dal governo egiziano. Almeno settanta miliziani hanno assaltato in contemporanea cinque basi militari, hanno messo sotto assedio la città di Sheikh Zuweid, hanno dimostrato che le montagne della penisola tra l’Egitto e Israele non sono più un problema periferico per il Cairo.
Dalla capitale il primo ministro Ibrahim Mahlab parla di «guerra aperta», le immagini che arrivano dal Sinai gli danno ragione. Esplosioni, i jet che sorvolano e bombardano gli estremisti, la battaglia che dura quasi 12 ore. I morti alla fine sono almeno 108: 70 tra soldati, poliziotti e civili, 38 i miliziani, tre di loro si sono fatti esplodere in missioni kamikaze.
Abdel al-Fattah al-Sisi, il generale diventato presidente, ormai combatte su due fronti da quando ha deposto e incarcerato l’islamico Mohammed Morsi nel luglio del 2013. Tre giorni fa un’autobomba ha ucciso il magistrato che era stato incaricato di perseguire e portare a processo i Fratelli Musulmani (se possibile per ottenere condanne a morte).
Ieri le forze speciali hanno ammazzato nove militanti in un raid nei sobborghi del Cairo, sono tutti membri della Fratellanza e nell’appartamento sarebbero state trovate armi. Nella giornata del terrore un pacco è stato lasciato lungo la Corniche sulla riva del Nilo: gli artificieri non hanno trovato esplosivo ma una testa mozzata con la scritta «regalo per la polizia».
Gli estremisti nel Sinai hanno rivendicato gli attacchi simultanei nel nome dello Stato Islamico. A novembre del 2013 il gruppo locale Ansar Bayt Al Maqdis ha proclamato fedeltà ad Abu Bakr Al Baghdadi che ha accettato l’alleanza e ha proclamato la creazione di nuove province per il Califfato. Lo Stato Islamico preme sul triangolo dei confini tra Israele, l’Egitto e Gaza.
Il Sinai sta in mezzo a tutti e tre con i suoi sessantumila chilometri quadrati fuori controllo per il governo centrale egiziano. In un video girato in Siria gli uomini del Califfo si rivolgono ad Hamas, il movimento palestinese che domina la Striscia: «Vi sradicheremo assieme agli ebrei, al Fatah e a tutti i miscredenti, verrete sommersi dalle nostre moltitudini. Imporremo la legge religiosa a Gaza». Si sono già affrontati con le armi nel campo rifugiati di Yarmuk a Damasco.
Per gli ideologi dello Stato Islamico i fondamentalisti di Hamas non sono estremisti abbastanza, i laici del Fatah — l’organizzazione fondata da Yasser Arafat — semplicemente traditori. Così Hamas deve affrontare dentro la Striscia l’opposizione e gli attacchi di gruppi più radicali che espongono le bandiere nere del Califfato. Sono loro ad aver sparato nelle scorse settimane i razzi al di là del confine per provocare la reazione di Israele.
A Gerusalemme i deputati hanno ascoltato la relazione di Yoram Cohen, capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni. Avverte che il potere di Hamas si sta erodendo e che per ora mantiene l’ordine solo con la paura. L’intelligence e il governo di Benjamin Netanyahu sono consapevoli che l’alternativa al governo dei fondamentalisti palestinesi potrebbe essere peggiore. Ieri i droni israeliani monitoravano dal cielo la barriera tra Gaza e l’Egitto. Se i jet del Cairo hanno potuto volare sul Sinai, così vicino alla frontiera tra i due Paesi, è solo perché Israele ha concesso il via libera: una cooperazione per fermare l’offensiva dello Stato Islamico.
Davide Frattini


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