Multa record per la Bp pagherà 18,7 miliardi per il disastro del Golfo

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NEW YORK. Diciotto virgola sette miliardi di dollari. Cinque anni dopo il disastro ecologico della Deepwater Horizon (la grande piattaforma petrolifera esplosa nel Golfo del Messico), con l’imponente marea nera che dalle coste della Louisiana arrivò fino in Florida e la impari battaglia, durata mesi, dell’uomo contro la natura (alla fine vinta dagli umani), la British Petroleum ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti: pagherà la più alta cifra mai stanziata per danni ambientali, per ripagare i danni subiti dai cosiddetti “Gulf States” degli Usa.
Non poteva fare altro, visto che in tribunale si era ritrovata contro cinque Stati (Louisiana, Texas, Alabama, Mississippi, Florida) più un governo federale (era già presidente Obama) che pochi giorni dopo il disastro aveva annunciato al mondo intero che non sarebbero stati fatti sconti a nessuno.
Alla fine il gigante petrolifero britannico non può neanche lamentarsi troppo. Dopo una battaglia legale senza precedenti (che ha arricchito molti studi legali di qua e di là dell’Atlantico) pagare 18,7 miliardi che verranno dilazionati in un periodo tra i 15 e i 18 anni (la decisione finale sarà presa fra un anno) è una somma accettabile per una società come la Bp che nel 2014 ha avuto un fatturato di 6.400 miliardi di dollari e un utile netto di 4mila miliardi.
La storica “multa” sarà suddivisa così: 7,1 miliardi al governo federale e Stati per «danno alle risorse naturali», 5,5 al governo Usa per violazione del Clean Water Act, 4,9 agli “Stati del Golfo” come compenso alla crisi economica provocata dal disastro ambientale, il restante a circa 400 comunità locali.
Era il 20 aprile 2010 quando sulla Deepwater Horizon (affittata dalla BP per 496mila dollari al giorno) una improvvisa esplosione innescò un violentissimo incendio — con undici morti e decine di feriti — mentre la sua gigantesca trivella (era in grado di esplorare fino a 5mila metri di profondità) si trovava sul cosiddetto Pozzo Macondo, centinaia di metri sott’acqua. Due giorni dopo la Deepwater Horizon si rovesciò con una fuoriuscita di petrolio senza controllo.
Occorsero 87 giorni per mettere un primo “tappo”, 107 giorni per bloccare lo sversamento e solo il 19 settembre l’operazione venne dichiarata conclusa. Nel frattempo oltre cinque milioni di barili di oro nero (quasi un miliardo di litri) avevano invaso il mare da New Orleans fino alla Florida provocando un disastro ambientale dieci volte superiore a quello della Exxon Valdez (1989).
L’accordo raggiunto è stato accolto con favore dalla Casa Bianca («anche se non abbiamo ancora i dettagli, si tratta di un accordo storico che aiuterà a riparare i danni alla natura, agli animali e alla pesca delle zone colpite aiutando la ripresa delle economie locali», ha detto il portavoce di Obama ai giornalisti in volo con il presidente sull’Air Force One) e il ministro della Giustizia Loretta Lynch lo ha definito «il più cospicuo mai raggiunto con una singola entità nella storia degli Stati Uniti».
Soddisfazione anche alla British Petroleum. Per l’amministratore delegato del gigante britannico Bob Dudley «viene risolta la maggior parte delle pendenze legate a quell’incidente e si crea una certezza sui pagamenti per tutte le parti coinvolte».


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La maggior parte delle aziende nel campo dell’abbigliamento lavora sodo allo scopo di dare ai propri capi un marchio che vada oltre l’etichetta: una caratteristica sofisticata, uno slogan che ne evidenzi il valore, un particolare che renda quel capo migliore di un altro per soddisfare i capricci (più raramente i reali bisogni) del cliente. La Levi Strauss sembra voler fare esattamente il contrario. “Questi jeans sono fatti di immondizia”, proclama con orgoglio l’etichetta su un paio di pantaloni lanciati con il significativo marchio: Waste < Less. Lo slogan circola e la frase, ammettiamolo, non richiama immediatamente alla memoria un’azienda che nel 1985 sponsorizzava il suo modello più famoso, il “501” con Nick Kamen alle prese con la lavanderia. Ma il mondo è cambiato, e anche la Levi’s deve seguire il passo dei tempi.

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