Dopo l’assassinio di Ali non cambierà nulla

Dopo l’assassinio di Ali non cambierà nulla

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Cisgiordania. È difficile immaginare che lo sdegno provocato dal rogo doloso che ha ucciso il piccolo palestinese possa portare ad un cambiamento serio della politica del governo Netanyahu nei confronti dei coloni ebrei e del loro ruolo. Alcuni dei ministri sono essi stessi dei coloni, dunque parte del problema non della soluzione

Lot­tano in ospe­dale tra la vita e la morte i geni­tori e il fra­tel­lino di Ali Dawab­sha, il bimbo pale­sti­nese di 18 mesi ucciso dal rogo della casa di Kfar Douma data alle fiamme da coloni israe­liani. Eppure la loro vicenda che, appena due giorni fa, aveva mostrato il volto vio­lento coloni e fatto par­lare di “ter­ro­ri­smo ebraico” – parole usate anche dal capo di stato israe­liano Rue­ven Rivlin (e per que­sto dura­mente attac­cato sul web) — len­ta­mente abban­dona le home dei gior­nali online, i titoli dei noti­ziari radio­te­le­vi­sivi. Lo sde­gno accom­pa­gnato dalle pro­te­ste dei pale­sti­nesi per l’assassinio di Ali e i fune­rali di due ragazzi di 17 anni – Leith al Khaldi di Jala­zon e Moham­med al Masri di Gaza -, uccisi da colpi spa­rati da sol­dati israe­liani, appa­ri­vano ieri sera una noti­zia pas­sata, almeno ad ascol­tare le quat­tro frasi a loro dedi­cate dai Tg. Addio con­danna del pre­mier Benya­min Neta­nyahu per la morte orri­bile di Ali, addio rifles­sioni sulle azioni degli estre­mi­sti israe­liani. Quella di ieri per i coloni che vivono inse­diati in Cisgior­da­nia e per i pale­sti­nesi sotto occu­pa­zione è stata una gior­nata come le altre degli ultimi 40 anni, come se nulla fosse acca­duto a Kfar Douma.

Quando ieri mat­tina i con­ta­dini del vil­lag­gio pale­sti­nese di Qusra si sono avviati con attrezzi e mac­chi­nari nei loro campi, ad acco­glierli hanno tro­vato i loro ira­sci­bili vicini, i coloni di Ein Kodesh, decisi a bloc­carli. Motivo? I ter­reni col­ti­vati sono adia­centi alla colo­nia israe­liana e la pre­senza rav­vi­ci­nata di tanti pale­sti­nesi alle recin­zioni pone dei “pro­blemi di sicu­rezza”. Già per­chè i coloni israe­liani non solo si inse­diano in un ter­ri­to­rio occu­pato mili­tar­mente e vi costrui­scono le loro abi­ta­zioni in vio­la­zione del diritto inter­na­zio­nale ma impon­gono anche una “zona cusci­netto” intorno all’insediamento, pre­clusa ai pale­sti­nesi. Ad onor del vero i con­ta­dini di Qusra ieri non sono nean­che arri­vati fino alla “zona cusci­netto” ma quelli di Ein Kodesh hanno voluto subito met­tere le cose in chiaro. Sono comin­ciati taf­fe­ru­gli, urla, minacce. Poi il match si è con­cluso come sem­pre, con l’Esercito che inter­viene, “divide” le due parti e costringe i pale­sti­nesi a tor­nare a casa con grande sod­di­sfa­zione dei coloni. Ecco per­chè quella di ieri è stata una gior­nata come le altre. E le pros­sime saranno uguali nono­stante lo sde­gno inter­na­zio­nale, le con­danne di Stati Uniti, Unione euro­pea e Con­si­glio di Sicu­rezza dell’Onu.

È irra­gio­ne­vole per­sino pen­sare che l’assassinio di Ali Dawab­sha possa andare oltre la con­danna del primo mini­stro Neta­nyahu ed aprire un dibat­tito con­creto sulla poli­tica del governo israe­liano nei con­fronti del ruolo e della pre­senza dei coloni nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati. Certo poli­zia ed eser­cito inda­gano, pro­se­gue la cac­cia ai respon­sa­bili del rogo doloso che ha bru­ciato vivo Ali — sui siti pale­sti­nesi si fa il nome di uno dei pos­si­bili assas­sini, Judah Land­sberg, 25 anni, della colo­nia di Yiz­har, con alla spalle una sto­ria di attac­chi e vio­lenze per conto del gruppo estre­mi­sta ebraico “Price Tag” (Prezzo da pagare) respon­sa­bile di decine di raid in vil­laggi e di incendi di chiese e moschee – ma quello in carica è e resterà il governo israe­liano che fa dello svi­luppo mas­sic­cio della colo­niz­za­zione della Cisgior­da­nia e Geru­sa­lemme Est un punto fon­da­men­tale del suo pro­gramma. È il governo che include Aye­let Sha­ked (Casa ebraica), la mini­stra della giu­sti­zia, che non ha mai fatto mistero di con­si­de­rare la Corte Suprema troppo indi­pen­dente rispetto all’indirizzo poli­tico dell’esecutivo. Non pochi dei mini­stri del governo Neta­nyahu sono dei coloni, dun­que sono essi stessi il pro­blema e non pos­sono esserne la soluzione.

Venerdì men­tre esplo­deva in tutta la sua dram­ma­ti­cità umana e poli­tica il caso del rogo di casa Dawab­sha, la vice mini­stra degli esteri Tzipi Hoto­vely (Likud) era alla colo­nia di Bet El a fare mea culpa per non essere stata pre­sente il giorno prima alle demo­li­zioni dei due edi­fici, costruiti ille­ga­mente, ordi­nate dalla Corte Suprema. «Il governo fa di tutto per per­met­tere a que­sta mera­vi­gliosa impresa di con­ti­nuare», ha assi­cu­rato la Hoto­vely «È facile per il mondo accet­tare Tel Aviv, per­ché la sua sto­ria è solo di 100 anni. È invece dif­fi­cile per il mondo affron­tare il fatto che abbiamo una sto­ria che risale alla Bibbia…Intendiamo rea­liz­zare il nostro sogno del Grande Israele, dove un ebreo può costruire ovun­que ma secondo la legge (israe­liana, mica quella inter­na­zio­nale, ndr)». Ed è que­sto il punto cen­trale. Buona parte dei mini­stri del governo Neta­nyahu vagheg­giano, come i coloni più abba­gliati dalla fede, che la Cisgior­da­nia e Geru­sa­lemme Est siano parte della biblica terra pro­messa e che, ancora oggi, appar­ten­gano solo a Israele. I pale­sti­nesi sono degli intrusi.



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