La tela di Hollande tra Mosca e Berlino

La tela di Hollande tra Mosca e Berlino

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DA Obama a Putin, dalla Merkel a Cameron, tutti dicono di sì a Hollande che, in nome della sua Parigi insanguinata, invoca una «grande coalizione» contro Daesh. Il presidente francese incassa anche un grosso successo con l’assenso russo a combattere a fianco di «un’alleanza a guida Usa». Un passo che modifica il quadro degli equilibri mondiali. L’unico che gli ha sparato contro, in modo neppure tanto metaforico, è Erdogan.
IL missile con cui ha fatto abbattere un jet russo è stato un estremo tentativo di boicottare la nascita di una alleanza mondiale che avvii a soluzione la crisi siriana. Una prospettiva in cui Ankara ha molto da perdere, a cominciare dalla inevitabile creazione di una nazione curda e semi indipendente ai suoi confini. Ma se Erdogan può tenere in ostaggio l’Europa usando l’arma dei rifugiati, il suo tentativo di tenere in ostaggio il mondo giocando sulle divisioni che riguardano la sorte del dittatore siriano Assad è probabilmente destinato a fallire. Con l’offensiva terroristica lanciata contro l’Occidente, con i morti di Parigi e dell’aereo russo esploso sul Sinai, il sedicente Califfato è riuscito a coalizzare contro di sé l’intero Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: impresa mai così compiutamente realizzata in sessant’anni di crisi e di sforzi diplomatici.
Quali saranno i risultati concreti della coalizione voluta da Hollande è ancora tutto da vedere. I cacciabombardieri della portaerei Charles De Gaulle difficilmente riusciranno da soli a risolvere una guerra che si trascina da quasi cinque anni. Ma intanto l’attivismo diplomatico del presidente francese sta avendo effetti politici di grande portata su almeno tre fronti.
Il primo fronte è ovviamente quello siriano, dove finalmente le grandi potenze e le potenze regionali sono costrette a lavorare davvero per cercare una soluzione che consenta di riportare la pace del Paese. La guerra ha fatto comodo a molti. Ora però, se Daesh è destinato alla sconfitta militare sul terreno, tutte le capitali coinvolte in questo conflitto sono consapevoli che occorre un accordo preventivo su come riempire il vuoto che sarà lasciato dalla scomparsa del Califfato. Nessuno vuole ripetere l’errore della Libia, dove la caduta di Gheddafi ha lasciato un buco che nessuno si è preoccupato di riempire.
Il secondo fronte è quello dei rapporti con la Russia. Dopo la gravissima crisi ucraina, le relazioni tra Mosca e l’Occidente erano precipitate ad un livello da Guerra fredda. La visita di Hollande al Cremlino, non come mediatore di un conflitto irrisolto e forse irresolubile, ma come alleato di una coalizione nascente a fianco degli americani, cambia in un colpo il quadro delle relazioni internazionali e relativizza la profondità del fossato che separa la Russia dall’Europa. Non a tutti questo fa piacere, come dimostrano i missili turchi. Ma il riavvicinamento conferma la tesi, sempre sostenuta dall’Italia, che il Cremlino è comunque un interlocutore indispensabile del mondo occidentale.
Il terzo fronte è quello dell’Europa, che si trova ancora una volta messa in discussione. Hollande ha giustamente detto che l’attacco contro Parigi è stato un attacco contro l’Europa. Ma si è ben guardato dal trarne le conseguenze. La richiesta francese di solidarietà ai partner comunitari è stata fatta in base ad un articolo del Trattato, il 42.7, che di fatto consente a tutti di mantenere le mani libere e garantisce così all’Eliseo un ruolo di «pivot» nel coordinare la reazione europea. Se avesse invocato l’articolo 44 dello stesso Trattato, Hollande avrebbe comunitarizzato questa crisi, che sarebbe passata sotto il controllo di Bruxelles e del Comitato politico e di sicurezza, il Cops, che è un organo del Consiglio Ue. Non lo ha voluto fare, per gli stessi motivi per cui, all’indomani della strage di Charlie Hebdo, si è opposta alla creazione di una “intelligence” europea.
Anche nel momento del massimo pericolo, la Francia non rinuncia al proprio ruolo di stato- potenza, sia pure al centro di un concerto di altri stati europei. L’emergenza terrorismo le offre semmai l’opportunità di riequilibrare almeno in parte, sul piano militare, la supremazia che la Germania aveva acquisito sul piano economico e politico. Oggi la Merkel è costretta a seguire Hollande, offrendogli aiuto in Africa o mettendogli a disposizione i Tornado della Luftwaffe, come Hollande l’aveva seguita, molto a malincuore, nell’apertura alla redistribuzione dei migranti. Lo stesso Cameron è obbligato a tornare davanti ai Comuni per richiedere il permesso di mandare la Raf in Siria, negatogli mesi fa. Renzi, il più renitente dei partner europei anche perché aspetta (e spera) il riconoscimento di un ruolo dell’Italia in Libia, è convocato a Parigi per un breve colloquio prima che Hollande parta per Mosca. E comunque neppure lui può esimersi dall’offrire un piccolo contributo italiano per alleviare lo sforzo dei soldati francesi in Libano. I belgi, maltrattati per le pretese carenze della loro intelligence sul terrorismo, sono ridotti ad offrire una fregata che scorta la portaerei Charles De Gaulle nei mari siriani in quello che sembra un omaggio più che una difesa.
Tutto giusto, per carità. In questa crisi la supremazia francese ha radici legittime. Da mesi la Francia si è assunta l’onere di combattere il Califfato anche in nome e per conto di quegli europei che non lo hanno voluto o potuto fare. Parigi ha pagato un prezzo altissimo per questo impegno. È logico che oggi riscuota la solidarietà dei partner ed è incoraggiante che questi onorino, sia pure a prezzo scontato, i propri obblighi morali. Ma il modo in cui Hollande sta gestendo la crisi lascia l’Unione europea in secondo piano. La relega al ruolo di spettatore consenziente di un balletto degli stati nazione sotto regia francese. Forse questo basterà a risolvere l’incerto futuro della Siria. Di certo, non aiuta a schiarire il futuro incertissimo dell’Europa.
ANDREA BONANNI, la Repubblica


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