Amnesty: liberate i minori palestinesi in detenzione amministrativa

Amnesty: liberate i minori palestinesi in detenzione amministrativa

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GERUSALEMME Sotto nuvole gonfie di pioggia, con un vento gelido che tagliava la faccia, migliaia di palestinesi ieri hanno seguito il lungo corteo funebre che ha accompagnato nel suo ultimo viaggio Haitham al Baw, il 14enne ucciso venerdì dagli spari dei soldati israeliani non lontano dal suo villaggio, Halhul. Il ragazzo, dice il portavoce militare, intendeva lanciare, assieme al cugino 12enne Wajidi, una bottiglia molotov contro un autobus di coloni ebrei diretti a Hebron. Una pattuglia dell’esercito presente in zona lo ha scorto e fatto fuoco, uccidendolo. Per i palestinesi Haitham è solo l’ultimo dei tanti, troppi ragazzi, talvolta poco più che bambini, uccisi dai soldati. In molti casi durante accoltellamenti di israeliani, tentati o compiuti durante i passati quattro mesi dell’Intifada di Gerusalemme, in tanti altri no. Ha fatto clamore il caso di Ruqayya Abu Eid, la 13enne uccisa dalla guardia privata dell’insediamento israeliano di Anatot che avrebbe cercato di colpire con un coltello. Riecheggia l’accusa di “esecuzioni extragiudiziali” rivolta qualche settimana fa a Israele dalla ministra degli esteri svedese Margot Wallstrom di fronte alla quasi sistematica uccisione sul posto degli assalitori palestinesi. Accusa respinta con rabbia dal governo Netanyahu.

La vicenda dei ragazzi palestinesi in questi mesi di Intifada – che dovrebbe essere chiamata l’Intifada dei giovani più che di Gerusalemme – è anche fatta di centinaia di arresti, di detenzioni per giorni, settimane se non addirittura destinate a durare anni. Le nuove leggi israeliane prevedono pene severissime anche per chi lancia pietre. E le porte del carcere per i palestinesi minorenni si aprono anche con la “detenzione amministrativa”, quella senza processo, per sei mesi rinnovabili che viene sanzionata dai giudici israeliani su richiesta dei servizi di sicurezza, anche in mancanza di prove certe. Ne sa qualcosa il 17enne Mohammad al Hashlamoun, arrestato lo scorso 3 dicembre a Ras al Amoud (Gerusalemme) e di cui Amnesty International venerdì ha chiesto il rilascio. Mohammad dopo l’arresto è rimasto in cella per 18 giorni alla stazione centrale di polizia di Gerusalemme dove gli agenti dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, lo hanno interrogato su una sua presunta intenzione di compiere attentati. L’adolescente palestinese ha sempre negato. Era stata anche decisa la sua liberazione ma il ministro della difesa Moshe Yaalon ha firmato un ordine di detenzione amministrativa che alla sua scadenza, il 20 giugno, potrebbe essere rinnovato per altri sei mesi. Amnesty ha chiesto alle autorità israeliane di rilasciare Mohammad «a meno che non sia accusato di un reato riconosciuto e processato in conformità con gli standard internazionali».

Alle fine di dicembre oltre 400 minori palestinesi si trovavano nelle carceri israeliane, inclusi sei in detenzione amministrativa (quattro dei quali sono stati rilasciati il mese scorso). Questo tipo di arresto, di fatto preventivo, è stato usato per la prima volta in quattro anni nei confronti di minori palestinesi lo scorso ottobre, per un caso di lancio di pietre. Ayed Abu Eqtaish, responsabile dell’ufficio locale di Defense for Children International , ribadisce che «La detenzione amministrativa non deve mai essere usata come un sostituto del procedimento penale quando non vi sono prove sufficienti per ottenere una condanna». Israele è stato ripetutamente criticato per l’uso che fa di questo tipo di detenzione. Non pochi prigionieri palestinesi negli ultimi anni hanno attuato lunghi scioperi della fame per protestare contro la detenzione amministrativa. L’ultimo in ordine di tempo è Mohammed al Qiq, un giornalista arrestato alla fine di novembre dall’esercito israeliano, che digiuna da oltre due mesi e chiede di essere liberato immediatamente. Le sue condizioni sono critiche. I medici che lo hanno visitato avvertono che potrebbe morire in pochi giorni.



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