L’Assemblea vota la riforma costituzionale

L’Assemblea vota la riforma costituzionale

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PARIGI Il governo e Hollande hanno ottenuto il voto che volevano: ieri, allo scrutinio «solenne» dopo sei settimane di discussioni, l’Assemblea nazionale ha approvato con 317 voti a favore contro 199 contrari, la revisione della Costituzione annunciata il 23 dicembre scorso, con l’introduzione di due articoli, uno sullo stato d’emergenza, l’altro sulla privazione della nazionalità per i condannati per crimini e reati contro la nazione. Ma questo successo potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro. Il risultato del voto all’Assemblea assicura di misura i tre quinti necessari per riformare la Costituzione al Congresso (le due camere riunite). Ma si arriverà a riunire il Congresso? Non è sicuro. Tra un mese, la discussione sulla riforma e il voto passano al Senato, dove la destra ha la maggioranza. Per riunire il Congresso, la riforma costituzionale deve passare con un testo identico nelle due camere (e l’avanti-indietro tra le due camere sulla carta può durare all’infinito).

La destra ha già fatto sapere di voler riscrivere il testo, per tornare alla prima stesura della riforma. Difatti, il governo, di fronte alla ribellione di una parte consistente dei deputati socialisti, per evitare una sconfitta annunciata aveva eliminato dal testo di riforma sottoposto all’Assemblea il riferimento ai «bi-nazionali». Il Senato vuole reintrodurre questa distinzione, per evitare lo scoglio del testo attuale, che sulla carta potrebbe riguardare tutti i cittadini, anche i mono-nazionali, aprendo però la questione impossibile di creare degli apolidi, situazione esclusa in linea di principio dalle convenzioni internazionali (la Francia ha promesso di ratificare la convenzione Onu del ’61).

Così, dietro il primo voto positivo nel lungo processo della riforma costituzionale si nascondono due sconfitte: di Hollande, ma anche di Sarkozy.

Sinistra e destra escono a pezzi da questa battaglia costituzionale. Hollande e il primo ministro Manuel Valls volevano una prova dell’ «unità nazionale», dopo gli attentati del 13 novembre. Ma la proposta di riforma della Costituzione ha diviso profondamente il paese, il mondo politico e persino il governo. Christiane Taubira si è dimessa da ministra della Giustizia per «un dissenso politico importante», per protestare contro la costituzionalizzazione della privazione della nazionalità. Martedì sera, il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, la personalità più in vista del governo, ha preso chiaramente le distanze: in occasione di un incontro alla Fondazione Francia-Israele, ha affermato di trovarsi in una situazione «filosoficamente inconfortevole», perché «non si può affrontare il male espellendolo dalla comunità nazionale». Per Macron, è stata data troppa importanza alla questione della privazione della nazionalità, che è slittata sul terreno scivoloso della cittadinanza. Già qualche giorno prima, Macron aveva contraddetto Valls, criticando l’affermazione del primo ministro che aveva equiparato la volontà di «capire» cosa spinge dei giovani francesi ad azioni terroriste, con quella di «scusare». Più di 100 deputati socialisti hanno votato contro o si sono astenuti ieri.

Anche Nicolas Sarkozy esce con le ossa rotte. L’ex presidente, che ha sempre rivendicato di essere all’origine dell’idea della privazione della nazionalità per i bi-nazionali terroristi (proposta che aveva ripreso dal Fronte nazionale), aveva chiesto ai deputati Les Républicains di votare a favore. Ma non tutti l’hanno seguito. Nel primo voto, martedì notte, il gruppo si è spaccato (tra i pochi presenti, 32 hanno votato a favore, 30 contro). Ieri, al voto solenne sui due articoli di riforma, 111 deputati di destra hanno votato a favore e 74 contro.

La riforma della Costituzione a destra è diventata ostaggio della rivalità in vista delle primarie per la candidatura all’Eliseo nel 2017: contro Sarkozy, l’ex primo ministro François Fillon si oppone, mentre da lontano Alain Juppé ha cercato di conciliare capra e cavoli. Le polemiche politiche hanno portato anche i due deputati del Fronte nazionale a votare contro ieri (anche se il partito continua a rivendicare l’idea come propria). Front de Gauche e Verdi (salvo un caso) hanno votato contro: la sinistra della sinistra si oppone chiaramente a una divisione tra i cittadini, i «veri» francesi e i bi-nazionali, «sospetti» e considera la riforma un «cavallo di Troia» che può permettere derive pericolose.

Dopo un mese e mezzo di polemiche, resta la lacerazione, a destra ma soprattutto a sinistra, su una riforma che doveva unire e invece ha diviso. Una riforma che, al minimo, molti considerano inutile: la possibilità di privare della nazionalità è già presente nel Codice penale francese e, comunque, riguarderebbe pochissimi casi (sui 15 terroristi che hanno infierito sulla Francia negli ultimi anni, solo un caso, quello di Mohamed Merah – autore di un massacro alla scuola ebraica di Tolosa nel 2012 – sarebbe rientrato sotto la nuova legge, perché bi-nazionale franco-algerino). Meno discussioni ha invece sollevato l’introduzione nella Costituzione dello stato d’emergenza, che porta a chiarirne le modalità di imposizione e di applicazione. Martedì, il Senato (che sarà seguito dall’Assemblea il 16 febbraio) ha votato il prolungamento dello stato d’emergenza per altri tre mesi.



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