L’Europa vista dalla Giungla

L’Europa vista dalla Giungla

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Le associazioni, tra cui Secours Catholique, Auberge des Migrants e Emmaus, hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, dopo la sentenza del tribunale amministrativo di Lille, giovedì scorso, che ha autorizzato l’evacuazione dei migranti che vivono nella zona sud della “giungla” di Calais.

Le associazioni si basano sulle ambiguità della sentenza, che da un lato dà il via libera all’operazione di evacuazione prevista dal governo, ma dall’altro ne limita l’estensione. Il testo del tribunale parla di allontanamento «progressivo» degli abitanti, escludendo quindi esplicitamente l’invio di bulldozer, e proibisce lo smantellamento di «luoghi di vita», tra cui «i luoghi di culto, una scuola, una biblioteca, un riparo riservato all’accoglienza di donne e bambini, uno spazio dedicato ai minorenni», tutte strutture che sono nate nella precarietà degli otto ettari della zona sud.

Per il momento, quindi, sul posto continua l’attesa, mentre il governo è nell’imbarazzo e non sa più cosa fare.

L’intenzione, all’origine, era smantellare questa zona, come era stato fatto a gennaio, quando era stata evacuata una striscia di un centinaio di metri tra l’accampamento e l’autostrada. L’idea del governo resta sempre la stessa, accusano le associazioni: rendere sempre più difficile, per non dire impossibile, la vita nel bidonville, in modo da attirare sempre meno ospiti.

Il problema è che la “giungla” di Calais continua a riempirsi, perché i migranti vogliono raggiungere la Gran Bretagna, che non ne vuole sapere di loro. Con i contagocce qualcuno riesce a passare. Per il momento le minacce di evacuazione fatte dal governo francese hanno ottenuto un solo risultato: far salire il prezzo che i passeurs chiedono ai migranti per aiutarli ad arrivare dall’altra parte della Manica.

Adesso, dei funzionari francesi dell’Ofpra (Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi) cercano di convincere i migranti del campo di Calais a chiedere l’asilo in Francia. Questa mossa significa avere la possibilità di venire ospitati in uno dei 102 Cao (Centri di accoglienza e di orientamento) sparsi in Francia. Molti migranti sono evidentemente reticenti, non vogliono essere spediti lontano da Calais (e quindi dalla speranza di poter passare la Manica un giorno o l’altro) e hanno paura ad avviare qui le pratiche per l’asilo, visto che la Francia non è molto generosa. Sul posto il prefetto sperava di poter sistemare gli abitanti della zona sud della “giungla” nei container che sono stati installati a Calais.

Ma questi container sono circondanti da filo spinato, si entra avviando un dispositivo di riconoscimento palmare (quindi devono essere date le impronte). Per di più, il prefetto aveva calcolato che ci fossero 800–1.000 persone da sistemare. Mentre, come avevano insistito le associazioni che operano nella zona, le persone sono molte di più: 3.500 almeno, tra cui quasi 400 minorenni soli. Nei container ci sono 1.500 posti e buona parte sono già occupati (di qui l’estenuante operazione di cercare di convincere gli occupanti attuali ad andare in un Cao e lasciare così il posto ad altri).

Il governo è ambiguo, da un lato promette che le pratiche dell’asilo saranno accelerate per chi accetta la sistemazione in un Cao e assicura di aver sospeso le regole di Dublino, cioè che nessuno sarà rispedito nel primo paese di sbarco nella Ue. Ma nei fatti ci sono stati casi di rinvio (uno anche in Italia, rispedito da Nantes). Le informazioni circolano in fretta, grazie ai telefonini. Il Belgio ha rimesso i controlli ad alcuni varchi di frontiera, dove i migranti cercano di passare per tentare di attraversare la Manica, in particolare da Zeebruges.

Ogni Paese, cioè, tenta soluzioni nazionali per sbarazzarsi del «fardello», in una confusione che si traduce in una tragedia umanitaria senza prospettive di soluzione.



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