L’America e la Bomba  

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NEW YORK «Prima una serie di piccoli incendi. Poi una tempesta di fuoco che succhiò tutto l’ossigeno dall’atmosfera: 125 mila giapponesi uccisi in un solo bombardamento». Non è la cronaca dell’apocalisse nucleare di Hiroshima né di quella di Nagasaki, ma il racconto di un precedente attacco «convenzionale»: un bombardamento a tappeto a Tokyo con bombe incendiarie come quelli che distrussero altre città giapponesi (da Osaka a Kobe) e tedesche (da Dresda ad Amburgo).

L’abitudine alla brutalità e ai massacri nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale con nazisti e giapponesi decisi a combattere fino all’ultimo uomo e gli Alleati che cercavano di ottenere la resa a furia di bombardamenti, spiega perché, nell’immediato Dopoguerra, l’atomica non fu vista dagli americani con orrore ma, anzi, sembrò a molti un positivo simbolo della modernità, oltre che una garanzia della superiorità militare e politica degli Stati Uniti.

Meno micidiale dei bombardamenti incendiari, l’atomica aveva posto fine alla guerra evitando «Operation Downfall», l’invasione del Giappone che (secondo le stime di Truman, poi contestate) sarebbe costata la vita di almeno 250 mila soldati Usa e di milioni di giapponesi. Perché non festeggiare? La sera di Hiroshima al bar del press club di Washington già veniva servito un «atomic cocktail»; nei teatri cominciarono a esibirsi atom bomb dancers .

«Atomico» divenne sinonimo di nuovo, innovativo. I conservatori ci vedevano la proiezione della potenza Usa, una versione dell’eccezionalismo americano. I progressisti erano più dubbiosi, ma si diffondeva l’utopia di un mondo che, toccata con mano la potenza spaventosa dell’atomo, avrebbe considerato impensabile un’altra guerra. Hollywood e gli scrittori tacevano con poche eccezioni (come il Kurt Vonnegut di «Ghiaccio-nove»). Le cose cambiarono progressivamente. Sul piano strategico già dal 1949, quando la prima atomica sovietica rese evidente che era iniziata una corsa agli armamenti nucleari. Con l’equilibrio del terrore la psicologia americana passò rapidamente dal trionfalismo nucleare alla nevrosi: rifugi atomici ovunque, addestramento nelle scuole, prove di evacuazione. La gente si abituò a vivere nel precario equilibrio garantito dalla capacità di Usa e Urss di distruggersi reciprocamente. «Mutually assured destruction» divenne l’espressione-chiave della Guerra Fredda: richiamata nelle conversazioni con l’acronimo M.A.D., che in inglese significa «pazzo».

E sicuramente pazzo era il Dr. Stranamore portato sullo schermo da Stanley Kubrick nel 1964: il generale dell’Air Force che scatena l’apocalisse nucleare. Con questa ed altre pellicole di quel periodo e l’inizio di un ripensamento storiografico, l’America rivede le sue certezze. L’arma nucleare che non sembra più così efficace (è iniziato il conflitto in Vietnam dove l’atomica non serve mentre gli americani cadono nella giungla) né eticamente accettabile: avrà anche salvato la vita di molti soldati che altrimenti sarebbero morti sulle spiagge dello sbarco in Giappone, ma la bomba sganciata sulla popolazione civile è pur sempre in violazione di tutte le norme internazionali. Il linguista radicale Noam Chomsky definisce Hiroshima «uno dei più indescrivibili crimini della storia», mentre il filosofo Michael Walzer parla di «terrorismo di guerra» per il tentativo di costringere un governo alla resa con i massacri dei civili. E lo storico «patriottico» Robert Newman arriva a sostenere che, così come ci sono guerre giuste, ci può essere anche un terrorismo giustificato. Negli ultimi anni tutto è cambiato ulteriormente con la tecnologia che, consentendo lo sviluppo di piccole armi nucleari tattiche, ha inserito nelle dottrine strategiche la possibilità di conflitti atomici limitati. Un dibattito che ha coinvolto anche i Paesi europei (e le sinistre europee) negli anni del dispiegamento degli «euromissili». Più di recente è subentrata la preoccupazione del terrorismo nucleare e della proliferazione in Medio Oriente (tamponata per ora con l’accordo con l’Iran) e in Asia dove il regime nordcoreano continua a muoversi in modo minaccioso.

A Hiroshima Obama ha invitato i Paesi dell’area, quelli oggi più tentati dal riarmo nucleare, a non ripetere gli errori del passato e a promuovere un risveglio morale. Ma non si è scusato: difficile farlo quando il bombardamento nucleare del Giappone è stato giustificato anche da un imperatore giapponese e da Fumio Kyuma, un ex ministro della Difesa nato a Nagasaki.

Massimo Gaggi



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