“I quadri di mio nonno Miró per i migranti”

“I quadri di mio nonno Miró per i migranti”

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“Sì è stato un éxito, un vero successo: 61.600 euro, più di quanto avevamo immaginato ». Joan Punyet Miró non è uomo che ama nascondere le proprie emozioni. E non nasconde il suo entusiasmo per il risultato dell’asta londinese di Christie’s. Si percepisce perfino al telefono. Ventotto quadri del celebre nonno – opere grafiche degli anni Settanta che erano parte della copiosa collezione di famiglia – sono passati di mano venerdì sera esattamente per 47 mila e 600 sterline. «Una bella somma, molto meglio dei 50.000 mila euro a cui avevamo puntato – commenta – Denaro utile per la Croce Rossa, per portare solidarietà ai migranti, ai siriani, per curare chi arriva e ha bisogno di tutto, per sostenere quelli che non hanno più una casa e, spesso, neppure un Paese. Oggi mi sento più contento ».

Com’è è maturata la sua decisione di donare le opere battute all’asta?

«Io in realtà ho fatto solo quello che avrebbe fatto mio nonno. Mi considero il depositario delle sue volontà. E faccio esattamente ciò che avrebbe fatto lui stesso se fosse stato vivo. Joan Miró ha sofferto moltissimo nella vita, soprattutto da giovane. Ha conosciuto la fame, ha subito l’esilio durante la guerra civile spagnola, ha affrontato prove difficili. E dopo l’esilio, la guerra e i soprusi del franchismo non ha più mai dimenticato chi aveva bisogno: i rifugiati, i profughi, i dissidenti, i deboli».

L’umanità più scomoda per l’Europa.

Ma c’è stato un episodio particolare tra i molti accadimenti di questi mesi che l’ha spinta a questo gesto?

«Credo che la Storia sia sottoposta alla legge della circolarità, per sua natura ha un andamento altalenante e prima o poi tocca a tutti i popoli farci i conti. In Spagna abbiamo avuto anni oscuri, Miró li ha vissuti e li ha raccontati anche attraverso la sua arte, i suoi segni, i suoi quadri, le sue sculture. Ora tocca alla Siria (dal 2011 ci sono stati più di 4 milioni e 800 mila rifugiati ndr) vivere nel buio, domani chissà a chi toccherà. E per questo che tutti noi abbiamo l’obbligo morale di fare qualcosa, gli intellettuali e gli artisti in genere dovrebbero essere coinvolti ancora più degli altri».

E la scelta di devolvere alla Croce Rossa?

«Per me è un’esperienza doppiamente positiva. Mia madre Maria Dolores era stata aiutata dalla Croce Rossa, da un giovane medico che le salvò la vita nel 1965. E mio nonno Joan Miró rimase sempre legato all’organizzazione che aveva aiutato la sua unica figlia tanto che regalò un arazzo all’organizzazione umanitaria. Era davvero un uomo generoso. Non si è mai risparmiato, quando è morto qui (a Palma di Maiorca nel 1983 ndr)io avevo 10 anni e lui 90. Ma ricordo che ha lavorato fino alla fine: divideva il suo tempo tra mille impegni sociali e la sua pittura. Era spesso all’estero, è stato il rappresentate della Spagna che usciva orgogliosa dal regime di Franco. Era anziano, ma dopo la morte di Picasso ha assunto il ruolo di testimonial della Spagna democratica in Europa e nel mondo».



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