Mi interessa scrivere una letteratura di idee, concettuale

Mi interessa scrivere una letteratura di idee, concettuale

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Lo scrittore Ramiro Sanchiz è nato a Montevideo, Uruguay, dove vive da 37 anni. Oltre alla narrativa scrive articoli di critica letteraria che vengono regolarmente pubblicata dal periodico “La Diaria”.

Da qualche tempo ti stai concentrando alla creazione di testi legati ad un personaggio specifico. Partiamo da qui.

Tra il 2006 e il 2010 ho costruito quello che si è convertito nel progetto narrativo al quale continuo a lavorare attualmente: l’idea era costruire una specie di macro-testo o macro-romanzo formata in realtà da vari libri e racconti che sono in qualche modo i capitoli o frammenti di questo macro-testo. In altre parole: uno può leggere uno dei miei romanzi e decidere il suo inizio o la sua fine – o qualcosa di simile ad un inizio e una fine – in totale autonomia, diciamo. Però leggendo gli altri libri si compone una specie di mosaico. Questo mosaico ruota attorno ad un personaggio ricorrente, Federico Stahl, che viene esplorato in varie vite possibili. In alcuni romanzi è uno scrittore, in altre un accademico, in altre un musicista e così via, un fotografo, libraio, commerciante. Questo è il progetto narrativo al quale continuo a lavorare da anni e che continuerò fino a quando avrà il sopravvento la noia o la morte, non so qualche succederà prima!

A che punto di questo macro-testo ti trovi?

Ecco, il punto è che tendo a non dare per conclusi i testi anche se sono già stati pubblicati, soprattutto i racconti. Voglio dire che continuo a correggerli anche dopo la loro pubblicazione, li rivedo, faccio cambi a volte superficiali e a volte più consistenti. In questo senso credo più in un progetto che in una opera: qualcosa di permanentemente in costruzione, mai definitivo e sempre espandibile. I motori che muovono questa espansione o proliferazioni sono diversi e per questo a volte mi piace giocare con l’idea che i miei testi in realtà si scrivono da soli. Per esempio: prendo un racconto già pubblicato e faccio dei cambi alla trama o anche alle sue premesse e vedo un po’ come il testo evolve a partire da questi cambi, sia dal punto di vista della trama, ma anche da quello dello stile o del tono o delle idee coinvolte. Penso poi al testo anche dal punto di vista del concetto musicale delle versioni: c’è un tema e una serie di varianti che sono sia opere distinguibili – ovvero, opere diverse – forme di qualcosa che si reitera – ovvero le stesse forme o lo stesso qualcosa. Nel mio progetto forse il tema è effettivamente la vita di questo personaggio, Federico Stahl, e se continuiamo con l’analogia musicale si potrebbe pensare a questo mio macro-romanzo come a una gran partitura con molti punti sottolineati su cui improvvisare.

 

Passiamo alle tue influenze culturali…

Mi interessa molto la fantasia, la fantascienza, la letteratura immaginativa, direi la letteratura “diversa”. Ammiro molto scrittori come Ballard o Pynchon, autori che non fanno strettamente parte della tradizione uruguaiana. Se dovessi far riferimento alla letteratura del mio paese dovrei ammettere la mia ammirazione per Onetti, Mario Levrero e per alcuni poeti, in particolare Julio Herrera y Reissig. Mi interessa comunque prendere anche da altre tradizioni: dal cinema e soprattutto dalla musica visto che sono stato musicista, o almeno ho cercato di esserlo in un certo momento della mia vita. Ho avuto i miei gruppi rock per anni però nel 2008, dopo lo scioglimento del mio ultimo gruppo, ho deciso che non volevo ricominciare tutto da zero e ho preferito dedicarmi totalmente alla letteratura. Ho pubblicato la mia prima cosa nel 1995, quando avevo 16 anni e da allora non ho fatto altro che pubblicare racconti in riviste specializzate soprattutto in fantascienza. Quindi, nel 2009, ho pubblicato il mio primo romanzo a Montevideo.

 

Come scrivi? Crei prima i personaggi o la trama? Scrivi a casa? Con musica? Insomma, parlaci un po’ del tuo processo creativo…

E’ una bella domanda, però cercherò di essere breve. Scrivo al computer; non so farlo a mano, credo per via della velocità a cui mi sono abituato: con la matita sarei inevitabilmente più lento e sono un tipo che si esaspera facilmente. Inoltre, la mia calligrafia è orribile e dopo un po’ sicuramente non riuscirei a capire quello che ho scritto o dovrei fare uno sforzo per capirla più grande di quello che sicuramente avrei voglia di fare. Così, uso il word e niente altro; prendo appunti in documenti di testo e dopo comincio a produrre bozze. Quando sento di avere una bozza completa, ovvero un esempio più che chiaro e compiuto di quello che dovrebbe essere il testo che sto scrivendo, racconto o romanzo, la lascio riposare per un po’ e poi inizio a correggere. Quindi aggiungo e taglio, a seconda delle necessità, e correggo gli errori. Quando penso che il testo sia più o meno presentabile, allora comincio a cercare il modo di pubblicarlo. E alla fine, una volta pubblicato, davanti alle bozze di stampa, faccio una correzione finale che a volte cambia parecchie cose e rende assai nervosi i miei editori.

Per quel che riguarda la musica, sì sto sempre ascoltando qualcosa e alla fine credo che quello che ho ascoltato maggiormente durante la scrittura, finisca con avere una qualche influenza nel testo che sto scrivendo. Per esempio, quando stavo scrivendo il romanzo El orden del mundo, agli inizi del 2014, ascoltavo moltissimo la discografia di un gruppo post-metal, i Giant Squid; le immagini del romanzo, per me, sono inseparabili dai paesaggi che mi fa evocare questo gruppo, specialmente quelli del disco The Ichtyologist, che mi pare un disco eccellente.

Non mi considero uno scrittore di personaggi. Voglio dire che non faccio particolarmente attenzione alla caratterizzazione: è un valore di un tipo di narrativa che non mi interessa, quello del romanzo psicologico che associo al diciannovesimo secolo e a una certa forma di alto modernismo inglese. Non mi interessano neanche tanto le trame, nel senso di creare romanzi in cui l’aneddotica è la cosa più importante, la proverbiale storia ben raccontata. Preferisco raccontare molte storie che si confondono e si compenetrano anziché cesellarne una sola bene. Forse dipende dalle mie letture formative, comunque quello che mi interessa scrivere è soprattutto una letteratura di idee, una letteratura concettuale.

 

Facciamo dunque una carrellata dei lavori che hai pubblicato.

L’editore uruguaiano Estuario ha pubblicato tre miei romanzi: Perséfone nel 2009, La vista desde el puente nel 2011 e El gato y la entropía nel 2015. In Argentina ho pubblicato con vari editori: i romanzi Los viajes (2012), Ficción para un imperio (2014), Vampiros porteños, sombras solitarias (2014, che è stata anche pubblicata a Madrid nel 2010)e Las imitaciones (2016). A La Paz, Bolivia, ho pubblicato El orden del mundo, nel 2014.

 

Come definiresti lo stato di salute della letteratura uruguaiana attuale?

Ho un’idea ottimista, anzi se volete, entusiasta. Mi sembra che questo sia un gran momento per la letteratura uruguaiana che è riuscita a compiere soprattutto un rinnovamento. Non so se profondo, però almeno da alcuni punti di vista ci sono molte più cose oggigiorno e questo, sempre, mi sembra qualcosa di positivo. La nostra letteratura è finita in un abisso durante la dittatura, dalla metà degli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80. Una scrittrice che ammiro moltissimo è Fernanda  Trías, che ha pubblicato in Uruguay ma anche in Argentina, Colombia, Venezuela e Spagna. In questo momento vive a Bogotá ed è una delle romanziere per me fondamentali della letteratura uruguaiana del Ventunesimo secolo. Devo dire, anche se potrebbe suonare un po’ vanitoso, che ho letto tutti gli amici scrittori della mia generazione; e ovviamente ho una lista di preferiti: Agustín Acevedo Kanopa che in realtà è un po’ più giovane di me ma gode delle stesse condizioni che hanno reso visibili i lavori della gente della mia età; Rodolfo Santullo, che anche se scrive partendo da codici narrativi molto diversi dai miei ha un progetto molto chiaro, definito e solido, cosa che mi interessa molto. Mi piacciono anche Pablo Dobrinin, Pedro Peña e Daniel Mella. Tra i più giovani seguo con particolare attenzione Carolina Cynovich, Hoski, Matías Mateus, Federico Giordano e Miguel Avero. C’è poi un gruppo di scrittori che si dedica a lavorare con la fantascienza e il terrore, gente che ha pubblicato in riviste prestigiose in Europa e Stati Uniti. Forse il paradosso è che questi autori che godono di un riconoscimento internazionale non sono tanto conosciuti in Uruguay. In questo ultimo gruppo inserirei senza dubbio Dobrinin e Roberto Bayeto.

 

Uruguay ha avuto grandi scrittori riconosciuti a livello internazionale. Sono ancora punti di riferimenti per i nuovi autori?

In effetti è abbastanza significativo che un paese che ha qualcosa come 3 milioni di abitanti abbia tanti nomi altisonanti come Horacio Quiroga, Felisberto Hernández, Onetti e molti altri. Non so fino a punto questi personaggi, i più consacrati diciamo, abbiano un’influenza forte su questi scrittori più giovani. Credo che lasciando da parte i nomi più sacri – Onetti, Levrero – buona parte degli scrittori della mia età si ispirino più a tradizioni che non sono uruguaiane, la statunitense, l’inglese ecc, e al cinema e la televisione. Benedetti, per esempio, non interessa più a nessuno.

 

Quali sarebbero dunque i riferimenti uruguaiani per gli scrittori più giovani?

Mah, vedi, se chiedi a Horacio Cavallo, scrittore e poeta, o semplicemente se leggi i suoi libri incontrerai una gran influenza di Onetti; anzi perfino le sue affinità con altri scrittori di generazioni anteriori alla fine si traducono in un gruppetto di fans di Onetti abbastanza noto e con il quale, onestamente, preferisco non avere nulla a che fare, anche se considero Onetti un grande scrittore. C’è anche un gran giro di ammiratori di Levrero: non solo lettori entusiasti – come lo sono anch’io – ma soprattutto gente che ha partecipato ai suoi workshop di scrittura.

 

Queste influenze potrebbero allargarsi anche a livello latinoamericano?

Sì certo. La letteratura argentina è molto importante: Cortázar e Borges sono due figure centrali. Lo sono state, lo sono e continueranno ad esserlo. Io comunque preferisco parlare di letteratura rioplatense [della zona del Rio de la Plata] più che di letteratura uruguaiana o argentina. Succede la stessa cosa se guardi da Buenos Aires: Quiroga, Onetti, lo stesso Levrero, Maslíah… sono tutti riferimenti uruguaiani della letteratura argentina, anche se suona un po’ strano dirla in questo modo. Abbiamo poi Gandolfo, argentino di origine, che vive a Montevideo e ha un’influente opera critica, oltre ad un buon insieme solido di racconti.

 

Quest’anno sei stato giurato del Premio Casas de las Américas, nella sezione dedicata ai libri di racconti. Che impressione ti ha dato la lettura dei lavori inviati?

Il problema è che non so fino a che punto la selezione fosse rappresentativa. Ci era arrivato molto materiale dall’Argentina e mi è sembrato un po’ tutto uguale, con un tono molto simile, un insieme di interessi e questioni. Ammetto che mi sono annoiato molto. Il vincitore invece, anche lui un argentino, era totalmente differente dal resto, originale: i suoi racconti non assomigliavano per nulla, fortunatamente, a quelli dei suoi compatrioti. Per il resto, quello che proveniva da altre zone dell’America Latina, diciamo che era abbastanza vario, non solo rispetto alle tematiche e allo stile, ma anche, diciamo, nel grado di competenza nella scrittura. C’erano cose veramente brutte, alcune direi quasi vergognose. Altre, meno numerose, molto interessanti. Alcuni libri cubani, per esempio, mi sono sembrati incredibilmente di buon livello, con un buon lavoro dell’umorismo. Uno di questi libri era in effetti il mio candidato al premio. Gli argentini, questo bisogna dirlo, avevano più o meno uno stesso livello: tutti avevano partecipato a workshop di scrittura e imparato le regole elementari. Però questo, chiaramente, non bastava a renderli lavori soddisfacenti.

 

Riesci a vivere della scrittura?

Della narrativa no, però della critica letteraria e del mio lavoro come editor, correttore, traduttore sì. Di fatto, non conosco nessuno scrittore della mia età o un po’ più grande che riesca a campare dei suoi libri. A parte quelli che come Santullo hanno anche un progetto editoriale. Nel caso di Santullo in una delle editrici migliori di fumetti del Rio de la Plata. Forse dipende anche dal fatto che in Uruguay non ci sono molti incentivi per la pubblicazione di libri; ci sono premi e iniziative che possono garantire un fondo economico che consente a uno scrittore non solo di guadagnare due soldi per vivere un po’ meglio ma anche di potersi auto-pubblicare: è lo scrittore che porta agli editori i soldi (cosa che io mi rifiuto di fare, che rischino loro: l’editore che non vuole rischiare con i miei libri non è l’editore che voglio!), o che va lui stesso in tipografia (altra cosa che non ho mai fatto: piuttosto pubblicherei in e-book). Comunque, al di là di questo, di questi soldi che servono per concedersi un lusso o saldare debiti, non credo nei premi: mi sembra, anzi, che impoveriscano l’ambiente editoriale. In queste circostanze, dato che stampare in Uruguay è caro, le editoriali devono sopravvivere come business e questo implica alla lunga non rischiare, pubblicare solo cose sicure, conservatrici, dimenticabili o condannate dal proprio sistema attraverso, appunto, qualche premio.

 

Parlavi però di una letteratura rioplatense, il che potenzialmente potrebbe implicare anche un mercato abbastanza simile, a partire dalla lingua. Perché allora si verifica la situazione editoriale che descrivi?

Il problema è che gli editori uruguaiani non escono quasi dall’Uruguay e vendono molto precariamente in Argentina. C’è forse qualche connessione, ma non una distribuzione né una vendita consistente. Per questo, visto che il mercato uruguaiano dei libri di narrativa scritta nel paese è minimo (400-600 persone, se sei fortunato) e che non c’è gran possibilità di portare più di un’ottantina di esemplari a Buenos Aires, è oggettivamente difficile che uno scrittore possa vivere del diritto d’autore.

 

Hai curato una antologia per Casa de las Americas che hai presentato a febbraio 2016 alla Feria del Libro dell’Avana…

Sì, ho avuto la fortuna di poter viaggiare a Cuba per presentare questa antologia. E’ stata un’esperienza molto bella. Ho riunito 17 scrittori – originariamente dovevano essere 19, un numero feticcio dato che l’Uruguay è diviso in 19 regioni, però due scrittori per ragioni diverse non hanno partecipato. Con ognuno dei 17 ho discusso dei racconti che ritenevano più rappresentativi della loro opera. Il risultato è stato un libro a mio avviso molto buono, al quale ho aggiunto un prologo che cerca di ritrarre un po’ la mappa della narrativa uruguaiana del XXI secolo.

Visto che sono solo il compilatore (o meglio, il selezionatore di autori, giacché alla selezione dei testi hanno partecipato anche gli autori) possono far sfoggio della qualità del libro: ha un livello medio superiore, a mio avviso, di tutte le altre antologie di narratori della mia generazione pubblicate in Uruguay. Forse ci sono 2 o 3 racconti che non sono all’altezza dei migliori, ma questo capita in tutte le selezioni direi.

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