Le crisi riunite a Ventotene

Le crisi riunite a Ventotene

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COME una Trimurti di divinità ostili, le tre crisi che tormentano l’Europa accolgono oggi i leader di Francia, Germania e Italia nel vertice di Ventotene: la crescita che arranca, senza lavoro, il jihadismo criminale che ha eletto proprio l’Europa a platea di omicidi rituali propagandistici, l’ondata migratoria dai Paesi della disperazione che vede il nostro continente come la terra della libertà, mentre genera insicurezza all’interno. Tre crisi concentriche, che hanno un denominatore comune. Nessuna delle tre emergenze europee può infatti essere affrontata e risolta con gli strumenti politici, culturali e istituzionali dei vecchi Stati-nazione, perché nascono tutte dalla mondializzazione che impone risposte globali a problemi universali.
Per questo c’è un sentimento di oggettiva impotenza, nella riunione di tre Paesi fondatori dell’Unione, così come la portaerei Garibaldi dove si svolgerà il vertice sembra un arsenale bellico disarmato di fronte alle nuove sfide che l’Occidente deve fronteggiare proprio in Europa.
DA QUESTA coscienza, probabilmente, nasce il pellegrinaggio europeo alla tomba di Altiero Spinelli, che oggi riceverà l’omaggio di Merkel, Hollande e Renzi al cimitero di Ventotene, 75 anni dopo il “Manifesto per un’Europa libera e unita”. L’impotenza della pratica politica quotidiana, e la forza di un’idea.
È stupefacente — dunque colpevole — il ritardo con cui le cancellerie dei nostri Paesi e la Commissione di Bruxelles hanno capito che le tre crisi sono una sfida continentale, un problema comune, anzi addirittura una questione di civiltà europea da difendere. Senza lavoro, in un’Unione che conta oggi 20 milioni di disoccupati, si erodono i principi stessi della democrazia materiale e della cittadinanza, mentre le disuguaglianze che il processo democratico del dopoguerra ha ammortizzato con la crescita prendono il volto intollerabile del l’esclusione sociale. Senza una difesa forte, anche armata, della nostra democrazia quotidiana noi continueremo a contare i morti del terrorismo islamista come vittime individuali di fenomeni locali, senza vedere che sotto attacco è la nostra libertà di ogni giorno, il sistema di diritti, obbligazioni e garanzie reciproche che forma il patto della moderna civiltà occidentale. Infine, senza una coraggiosa politica comune nei confronti dell’immigrazione noi perderemo la fascia più fragile della nostra popolazione, spaventata dagli arrivi e dalla loro proiezione fantasmatica, oppure perderemo l’anima di un’Europa nata come terra della democrazia dei diritti, che al centro del Manifesto di Ventotene non per caso ha messo il principio di libertà.
C’è un chiaro punto di congiunzione per queste tre insidie, una deriva comune, ed è la rendita di posizione che le emergenze congiunte creano per i diversi populismi, alimentati e ingigantiti dal sentimento occidentale di perdita di controllo sui fenomeni globali. Chiaro che i leader (sia Merkel che ha il voto alle porte, sia Hollande e sia Renzi) abbiano una forte preoccupazione elettorale a questo proposito, come ce l’ha l’America davanti a Trump e come ha un problema drammatico di governo del consenso la Gran Bretagna del dopo Brexit. Ma se i leader permettono, la preoccupazione dei cittadini è più profonda. Qui infatti entra in crisi addirittura il sistema di governance della modernità occidentale, che non riesce più a garantire una politica efficace, dunque governo, quindi sicurezza, e cioè concreta rappresentanza. Un passo ancora e c’è il dubbio estremo sull’utilità pratica della democrazia, sulla sua capacità di incidere sulla vita quotidiana delle persone, infine sulla compatibilità tra la democrazia e le lunghe fasi di crisi. Come se la democrazia si rivelasse una semplice creatura — debole — del Novecento adatta a regolare solo i momenti di crescita e distribuzione della ricchezza, mentre la crisi è figlia del caos.
Se siamo a questo punto si capisce perché si torna da Spinelli, finalmente. Se non si rilancia, con un investimento ideale e di progetto, si alza bandiera burocratica, cioè bianca. Eugenio Scalfari insiste da anni — e ne ha parlato con Renzi alla vigilia del vertice, come ha riferito ai nostri lettori — sulla creazione di un ministro delle Finanze dell’Eurozona, vero plenipotenziario del Tesoro europeo, embrione del futuro Stato federale. L’Italia probabilmente rilancerà l’idea di una “Schengen della difesa”, creando veri e propri battaglioni con le insegne dell’Unione. E la guardia di costiera europea, con la guardia di frontiera comune, è il nucleo di una nuova politica di sicurezza condivisa che deve portare ad un’unica politica degli Interni, indispensabile per governare il fenomeno migratorio.
Le idee ci sono, le emergenze si possono trasformare in opportunità, il tempo è finalmente questo, a un passo dal disastro. La politica dovrebbe saperlo. «Sarà l’ora di opere nuove», diceva sicuro Spinelli. Ma aggiungeva qualcosa in più: «Sarà anche l’opera di uomini nuovi».
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