Strasburgo boccia la Polonia: «A rischio i diritti fondamentali»

Strasburgo boccia la Polonia: «A rischio i diritti fondamentali»

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VARSAVIA  Le istituzioni europee scendono di nuovo in campo per il mantenimento dello stato di diritto in Polonia. Strasburgo ammonisce ma Varsavia continua a fare finta di niente. E così il copione si ripete ancora una volta, anche se ora la condanna è trasversale: una risoluzione approvata senza particolari difficoltà dal Parlamento Europeo, con 510 voti a favore e 160 contro, invita il Paese a risolvere entro il 27 ottobre la crisi costituzionale. E la seconda volta che l’emiciclo europeo prende posizione nei confronti della Polonia da quando il paese è governato da Diritto e giustizia (PiS), il partito della destra populista fondato dai fratelli Kaczynski.

Già la settimana scorsa la Commissione di Venezia, composta da esperti di diritto costituzionale del Consiglio d’Europa, aveva dato parere negativo alla riforma del Tribunale costituzionale che a suo giudizio indebolisce l’efficacia del Tribunale rischiando di compromettere la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto.

Questa volta il verdetto del parlamento Ue suona come una condanna tout court dell’operato del governo di Beata Szydlo. Mentre la risoluzione votata a Strasburgo lo scorso aprile aveva preso di mira soltanto quello scontro istituzionale che continua a bloccare l’attività del Tribunale Costituzionale da quasi un anno ormai (anche se da poco il governo ha ripreso a stampare le sentenze del Tribunale sulla gazzetta ufficiale polacca, ad eccezione di quelle che dichiarano incostituzionali le decisioni prese dal governo sulle proposte di riforma della stessa Corte), ora destano preoccupazione anche la riforma dei media, della polizia e del servizio civile che rischia di essere abolito. Una stroncatura a 360 gradi in cui i deputati del parlamento europeo hanno espresso la loro inquietudine anche su altri temi quali la tutela della salute delle donne in età riproduttiva e il progetto di deforestazione della riserva naturale di Bialowieza, al confine tra la Polonia e la Bielorussia.

A onor del vero, la scorsa primavera la formazione di Kaczynski, per non rischiare di perdere consensi, aveva ritirato il proprio appoggio a una proposta di legge, voluta dalla Conferenza Episcopale polacca, che mirava a introdurre il divieto totale di aborto. Allo stesso modo, il taglio sistematico degli abeti rossi, in parte infestati da un parassita della foresta primaria patrimonio mondiale dell’Unesco, è stato bloccato in attesa di una riorganizzazione dei meccanismi di gestione delle aree protette del parco.

Pochi dubbi comunque che il PiS abbia adottato una strategia elusiva nelle sedi europee. Il presidente polacco Andrzej Duda ha già fatto sapere che non parteciperà a un dibattito in programma il prossimo 10 ottobre con i rappresentanti dei paesi membri del Consiglio d’Europa, nonostante l’invito del segretario generale Thorbjorn Jagland. «Che un politico debba rispondere alle domande di un organo assembleare è da sempre una prassi consolidata», ha dichiarato al quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, Hanna Machinska responsabile dell’ufficio CoE a Varsavia.

Purtroppo, i pareri della Commissione di Venezia e le due risoluzioni del Parlamento Europeo non stanno sortendo l’effetto sperato. Soltanto un intervento deciso da parte di Bruxelles potrebbe spingere una Polonia “orbanizzata” dal PiS a cambiare rotta anche in materia di immigrazione. Intanto, la raccolta delle firme per indire, sul modello ungherese, un referendum sull’accoglienza ai profughi procede a ritmo spedito in tutto il paese.

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