Migranti, i duri dettano legge

Migranti, i duri dettano legge

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L’accordo sui migranti firmato a marzo con la Turchia funziona, ma non basta più. Ne servono altri, uguali nei contenuti, da siglare con altri paesi di origine o di transito dei migranti. A cominciare dall’Egitto, diventato ormai il secondo paese dopo la Libia per il maggior numero di partenze. Ma anche Mali, Niger, Senegal, Afghanistan e Pakistan con i quali bisognerà trattare accordi per facilitare i rimpatri.

La proposta, ma sembra più un ordine, è uscita ieri a Vienna al termine del mini-vertice voluto dal cancelliere austriaco Christian Kern e al quale hanno partecipato i capi di stato e di governo di Ungheria, Albania, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Serbia e Slovenia, più la cancelliera Merkel e il premier greco Tsipras. In pratica tutti i paesi coinvolti dalla vecchia rotta balcanica chiusa lo scorso mese di febbraio in un vertice analogo tenuto sempre a Vienna (ma al quale non parteciparono Merkel e Tsipras) e successivamente blindata proprio con l’accordo siglato dall’Unione europea con Ankara. La paura che quel percorso – lungo il quale nel 2015 è passato più di un milione di profughi diretti a nord – possa oggi riaprirsi, magari sotto la spinta degli oltre 50 mila profughi siriani rimasti bloccati in Grecia, ha convinto Kern a convocare la riunione alla quale sono stati presenti anche il presidente del consiglio europeo Donald Tusk e il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos. Tusk, in particolare, ha dimostrato di aver ben compreso il messaggio inviato ieri all’Europa. «Dobbiamo confermare politicamente e nella pratica che la rotta dei Balcani occidentali per la migrazione irregolare è chiusa per sempre», ha scandito alla fine del vertice.

Toni radicalmente diversi rispetto a quelli utilizzati meno di un anno fa dai leader dell’Unione. «Ce la faremo», diceva la Merkel ai tedeschi invitandoli ad accettare la sfida dell’accoglienza, mentre il presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker attaccava i paesi che si opponevano alle quote di migranti minacciando multe da 250 mila euro per ogni profugo rifiutato. Sono passati pochi mesi e la musica è cambiata. «Vogliamo fermare l’immigrazione clandestina» ha detto ieri la cancelliera, seppure aggiungendo che, certo, «non dobbiamo sottrarci alle nostre responsabilità umanitarie». «Dobbiamo essere noi quelli che decidono chi entra in Europa, e non le organizzazioni di trafficanti», le ha fatto eco Kern.

Il progetto messo a punto ieri prevede un ulteriore rafforzamento non solo delle frontiere esterne dell’Unione, ma anche di quelle interne da mettere in atto grazie a un rafforzamento di Frontex e all’impiego della Guardia costiera e di frontiera europea, il cui debutto è previsto per il 6 ottobre al confine tra Bulgaria e Turchia. Un intervento, quello della nuova forza europea, previsto anche ai confini della Grecia con Macedonia e Albania e che, se è vero quanto rivelato dal quotidiano tedesco Die Welt che cita il direttore di Frontex Fabrice Leggeri, sarebbe stato richiesto proprio da Atene.

Alcune delle proposte, come la necessità di arrivare ad accordi con i paesi africani uguali a quello siglato con la Turchia, faranno piacere a governo italiano che sollecita da tempo migration compact che siano in grado di fermare le partenze dall’Africa (obiettivo al quale, tra l’altro, Roma sta provvedendo da sola). Ma la scelta di schierare le guardie di confine europee alle frontiere di Bulgaria, Macedonia e Albania sembra tradire l’intenzione che non si vogliano fermare solo i migranti economici, ma anche impedire nuovi ingressi di profughi siriani. Scelte che sono altrettanti tentativi di rispondere alle opinioni pubbliche nazionali sempre più attratte dai movimenti populisti in crescita in Europa. In Austria, dove nei primi sei mesi di quest’anno si sono avuti 24 assalti contro altrettanti centri di accoglienza di migranti, il doppio rispetto a tutto il 2015, il 4 dicembre si voterà di nuovo per l’elezione del presidente della repubblica e il leader del’Fpo Norbert Hofer potrebbe essere il primo capo di stato di estrema destra in Europa dal 1945. Mentre il 2 ottobre in Ungheria un referendum metterà definitivamente la parole fine al progetto di Juncker di distribuire i profughi in Europa. Naturalmente, come direbbe la Merkel, senza dimenticare le nostre responsabilità umanitarie.

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